Se tutto quello che doveva finire, è lì. E’ maledettamente lì mentre attorno s’affannano gli orchi delle soluzioni dorate, accanto ai fantasmi di risoluzioni definitive che di definito hanno solo un’inutile irrisolutezza, fra i ruderi di Gaza continua a muoversi l’indigente disperazione di chi è lasciato senza futuro nella speranza che muoia. E’ questa la lurida speranza sparsa da Israele a caccia di cadaveri dei propri prigionieri defunti e al tempo cacciatore delle vite gazawi, sebbene tutt’attorno si parla di “tregua”. La tregua non c’è finché si spara. Non esiste se attenta a quelle vite cui da più d’un anno si cerca di dare la morte per fame, freddo, malattie. Basta pensare come si è stato e come si sta al riparo d’una tenda fra i quaranta gradi estivi, con poca o nessuna otre d’acqua potabile. Sì, acqua da bere in uno spazio ridottissimo, non nell’esteso Sahara. Basta meditare come si starà fra due mesi nelle gelide notti che seguono il solstizio d’inverno. Sarà il terzo per i sopravvissuti al genocidio, pensato e attuato dal popolo eletto che intanto festeggia il ritorno a casa di chi s’è salvato dalla prigionia, ma non rivolge, non vuole rivolgere lo sguardo al popolo tenuto prigioniero nella Striscia. Ancora per poco, meditano gli orchi delle soluzioni dorate. Intanto le settimane scorrono e altri ammalati s’aggravano e crepano. E altri sopravvissuti s’ammalano, in un circuito della distruzione alimentato dalla geopolitica dell’orrido e dell’odio. Ai sessantottomila cadaveri di gazawi conteggiati, s’è detto più volte, occorre aggiungerne altrettanti e forse più rimasti sotto le macerie. E quelli che deperiscono per la straziante vita offerta dalla guerra e dalla sedicente pace. Una vita senza soluzioni. Dicono i Medici senza frontiere e la Mezzaluna Rossa: “Sono state documentate migliaia d’amputazioni e di casi di lesioni alla colonna vertebrale e al cervello, un numero sproporzionato che colpisce adulti e bambini”. Eppure le disabilità personali e collettive, ben oltre l’ultimo immane massacro, risiedono anche nell’impossibilità di rilanciare una propria dimensione e organizzazione sociale, non solo di soccorso sanitario e alimentare, ma d’istruzione, rapporti sociali, e serena umanità.
Questo accadeva da quando, vent’anni addietro, Gaza s’è emancipata dall’occupazione di Tsahal e dallo sfratto dei coloni. Da quando ha votato e ha scelto un partito, Hamas, su un altro, Fatah. I due gruppi per un mese si sono scontrati e sparati, lotta fratricida per il potere. Quindi ci hanno pensato Israele, l’America e l’Occidente a praticare e avallare un blocco aereo, marittimo, terrestre, il blocco dell’isolamento dal Medio Oriente anche quello a portata di check point, e dal mondo. Prigionieri. E bersagli di repressione. Dal 2007 Israele vietava l’ingresso di elementi di fibre di carbonio. Per costruite avveniristici telai di bici? No. Per armi altrettanto sofisticate. Neppure. Per curare – dicono gli ortopedici – le lesioni agli arti. Così per le resine epossidiche, utili alle protesi leggere e sopportabili. Disumana vendetta, eroi di Tsahal. Giovani schiavizzati a “difendere” uno Stato coloniale, complici delle ferite, delle infezioni e amputazioni, delle disabilità permanenti inferte a quei vicini di casa, cui avete rubato la casa, e che volete far morire per salire in alto nella gloria nazionale militare e poltica. A imitazione di Ben Gurion, Yitzhak Rabin, Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Shimon Peres. E Barak. E Sharon. Molti già terroristi. Tutti soldati e poi generali e Primi Ministri d’uno Stato in stato d’assedio permanente. Oggi per attuare il genocidio palestinese Israele crea generazioni di oppressi e disabili. A Gaza epatite e meningite si sono radicate perché Israel Defence Forces, anche dopo la risibile pace trumpiana, tiene a sua discrezione chiusi i valichi (Rafah, Erez, al-Karara, al-Shujaiah) impedendo ai camion con vaccini e presidi medici di entrare. La mancanza di cibo e acqua disabilita lentamente i gazawi, causa carenze vitaminiche, deperimento muscolare, deterioramento cognitivo e soppressione immunitaria, aumentando la suscettibilità alle malattie infettive. Grazie ai giornalisti locali, quelli internazionali Israele li tiene lontani dall’Inferno che crea, osserviamo sequenze inquietanti di famiglie che spingono in modo impossibile i propri cari su sedie a rotelle antiquate, fra macerie e devastazione mentre le bombe esplodono dietro di loro.
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