C’è un comune denominatore che nelle ultime settimane ha messo in relazione più dei tempi passati il presidente egiziano al Sisi e l’ex premier britannico Tony Blair: la gestione del potere. Che ciascuno esercita o ha esercitato nel proprio Paese, il generale del Cairo dal golpe-bianco del 2013, l’ex leader laburista nel decennio (1997-2007) di permanenza a Downing Street, e che ora riverbera le proprie inquietanti ombre sulla gestione futura della Striscia di Gaza. Da quando il ‘fautore della pace’ Donald Trump ha designato Blair quale capo staff per il sedicente “Transito internazionale di Gaza” e nel recente summit di Sharm el-Sheikh promosso il dittatore del grande Paese arabo quale timoniere delle trattative presenti e future, i due stravedono l’uno per l’altro. Del resto s’apprezzano da tempo. All’epoca delle “Primavere arabe” l’inglese che aveva terminato i suoi mandati, ma continuava a influenzare la geopolitica avviando una personale carriera di lobbista internazionale, attraverso proprie consulenze con la petromonarchia emiratina dette ‘suggerimenti’ sul da farsi al generale. Questi s’era presentato con una strage: mille o duemila (non si seppe mai) attivisti della Fratellanza Musulmana crivellati a colpi di mitra davanti alla moschea Rabaa al-Adawiyya per spodestare l’islamista Morsi dalla presidenza. Da quel momento il comune nemico islamista (che Blair aveva personificato nel popolo iracheno provocandone massacri con la guerra del 2003) sarebbe stato spazzato via in metropoli e villaggi egiziani con qualunque mezzo. Cioè assassini di singoli e gruppi, sparizioni a migliaia, arresti a decine di migliaia, condanne, detenzioni a vita, misteriosi suicidi carcerari e tonnellate d’intimidazioni per favorire un potere tuttora duraturo fra il plauso e l’omertà della comunità internazionale anche al cospetto di tali crimini. Blair, del resto, propone consulenze diffuse a livello planetario con una meticolosa organizzazione che porta il suo nome “Tony Blair Institute” (megalomania o strapotere?) ammantando l’iniziativa da missione, quasi umanitaria.
“Aiutiamo i governi e i leader a fare cose - recita il suo sito -. Lo facciamo consigliando strategia, politica e sbloccando la potenza della tecnologia in tutti i campi. Come no-profit possiamo lavorare nei contesti più impegnativi e sui progetti più trasformativi perché il nostro focus è sui leader piuttosto che sui profitti. E come organizzazione apartitica, possiamo portare il meglio della nostra esperienza ai leader che vogliono tradurre la loro ambizione in un'azione significativa per le loro persone”. Parrebbe una sorta di Ong, a-partitica, a-confessionale, che però odia l’Islam politico, soprattutto interfacciandosi a leader arabi (al Sisi, bin Zayed, bin Salman) che praticano la repressione di questa componente politica vista non come avversario, ma nemico da sradicare e seppellire. Politicamente e non solo. In tal senso il piano per la transizione a Gaza secondo i progetti trumpiani è un tutt’uno con le volontà d’Israele: distruggere militarmente e politicamente Hamas, porre in esilio l’attuale leadership favorendo la collaborazionista Anp, deportare i gazawi, collocarli in campi profughi magari egiziani (Sisi è stato scelto per collaborare), libanesi, siriani. Tanto per allungare lo sguardo sul corpo dell’Istituto di Blair, a esso collaborano operatori di qualità (https://institute.global). Lunga e fitta è la lista, ci sono tanti giovani esperti provenienti dai Paesi dell’Europa un tempo colonialista e oggi ambiguamente sostenitrice di cambi di regime. Ma pure consulenti dei Paesi più colonizzati, africani e non. Certo, quando nella lista s’incontra il nome di Matteo Renzi (dal giugno 2024 c’è anche lui), ex premier come Blair, ex sedicente progressista sulla medesima via del leader laburista che nel Regno Unito ha spalancato le porte al neo thatcherismo del Terzo Millennio, mentre in Italia il rampollo fiorentino incarnava una personale versioncina del berlusconismo affarista e demolitore dello Stato pubblico, qualche dubbio sorge. A chi giovano questi aiuti? All’affarismo criminale che soggioga popolazioni, con la forza come accade a palestinesi ed egiziani, o con le lusinghe di finanziamenti, rilanci, innovazioni, quelli passati attraverso il sistema Trump-Blair. Per il futuro della Striscia l’ex leader laburista pare incarnare il ruolo del liquidatore, come fu il connazionale Herbert Samuel, “commissario” sostenitore del sionismo che negli anni Venti del Novecento disgregava la Palestina a favore del futuro Israele.
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