sabato 8 febbraio 2025

Tunisia, il volto nero del Piano Mattei

 


Settanta pagine roventi come i drammi che testimoniano per bocca di trenta diseredati della migrazione finiti nelle grinfie della Guardia Nazionale tunisina. Costituiscono il rapporto-denuncia (‘State Trafficking’) raccolto da un gruppo di ricercatori, che per ragioni di sicurezza vuole restare anonimo, presentato una decina di giorni fa al Parlamento Europeo dai deputati Strada, Salis, Orlando, Sippel, Strik, Galàn. Racconta quella tratta dei migranti, con tanto di violente reclusioni e deportazioni, che alcuni media denunciano da almeno due anni e che molti altri media preferiscono ignorare. Soprattutto in Tunisia e in Italia. Per non guastare la festa al tanto sbandierato “piano Mattei” caro al Primo ministro italiano Meloni di cui s’avvantaggia il governo autoritario di Tunisi. Nei giorni immediatamente precedenti la divulgazione in sede europea del citato report, i telegiornali italiani ricordavano con enfasi gli ulteriori accordi stabiliti dai due Paesi tramite i rispettivi ministri degli Esteri Tajani e Nafti. Investimenti in campo economico che riguardano agricoltura ed energia. Nell’agroalimentare le collaborazioni sono di vecchia data e avevano, tanto per evidenziare qualche aspetto speculativo che riguarda taluni nostri produttori di presunto olio extravergine d’oliva, precedenti di acquisto in Tunisia di materia prima o di prodotto finito, spacciato per olio italiano Evo, che non era né italiano e neppure extravergine. Ma queste sono truffe, peraltro realizzate con partner anche d’altre aree geografiche. Gli accordi presenti concernono uno scambio agronomo-tecnologico fra le due nazioni. Mentre Terna, colosso nostrano di trasmissione di energia elettrica,  ultimamente ha inaugurato a Tunisi la “Terna Innovation Zone” primo hub africano che rafforza il partenariato fra i due Paesi. 

 

La nota di presentazione parla: “di rafforzare l’ecosistema dell’innovazione a sostegno dell’imprenditorialità locale legata alla transizione energetica e digitale”.  Fra gli intenti anche quelli di formazione avanzata di giovani ingegneri e tecnici. Bisognerà vedere con quale ritorno economico soggettivo per queste figure professionali, che le statistiche relative alla migrazione intellettuale dal Paese maghrebino calcolano a cifre elevatissime (70%) proprio a seguito dei bassi salari interni (300-400 euro mensili). Invece ‘State Trafficking’ report ci pone davanti alla peggior prosa dopo i versi poetici che decantano l’idillio fra Meloni e Saïed. I trenta denuncianti raccontano quel che gli è accaduto, ciò che hanno visto e subìto assieme a centinaia di vessati come loro. Tutto a opera della Guardia Nazionale tunisina, della locale Guardia di Frontiera, dello stesso esercito, i cui militari agiscono indossando la divisa oppure in borghese, coprendosi con maschere durante le azioni più truculente. Un aspetto del contrasto alla concentrazione di migranti, in gran parte subsahariani, che si raccolgono attorno alla città costiera di Sfax, è la distruzione dei campi informali lì creati da chi stazione in attesa d’un imbarco, esclusivamente di fortuna. E rischiosissimo. Vengono fermate e arrestate i soggetti più diversi: studenti, lavoratori con o senza documenti di soggiorno, persone con passaporto tunisino o con documenti rilasciati dall’Unhcr. I cacciatori di migranti puntano  soprattutto alla cattura di individui di colore con un approccio definito predatorio dagli autori dell’indagine. Ai fermati si dice trattarsi d’un controllo di routine o che avranno accesso a programmi di rimpatrio volontario. In vari casi l’operazione viene camuffata come una loro “protezione dalla popolazione locale che potrebbe aggredirli”. Chi viene arrestato non può ricorrere a difensori legali. Frequenti sono il sequestro e la distruzione di documenti a coloro che li posseggono.  

 

Qualsiasi protesta viene sedata con la violenza, i denuncianti parlano di percosse con bastoni e spranghe cui s’aggiungono minacce, privazioni di cibo e acqua. Il personale carcerario perquisisce periodicamente i detenuti alla ricerca soprattutto di telefoni cellulari che potrebbero  essere usati per documentare il trattamento subìto. Mentre le perquisizioni alle donne si trasformano in molestie o abusi sessuali.  Alcuni fermi avvengono in mare, la Guardia Costiera avvicina l’imbarcazione di fortuna sequestrandone il motore, se c’è una reazione da parte dei migranti scatta la minaccia di rovesciare la barca. I traslochi verso i luoghi di detenzione quasi sempre avvengono di notte, gli agenti a bordo degli autobus o camion che trasportano i migranti celano il volto. Il trasferimento nei famigerati campi libici - vero spettro per tutti, anche perché ormai il passaparola ha demonizzato quella rotta - è il caso più temuto. Però domandare se quella è la destinazione può produrre reazioni violente dei carcerieri. In talune circostanze chi osava chiederlo è stato abbandonato  lungo il percorso. Fra gli intervistati c’è chi ha riferito d’aver visto sotterrare migranti deceduti dopo violentissime  percosse in fosse comuni, vicino ai campi di detenzione. E poi in mezzo al deserto c’era l’ossessione della “gabbia”, il recinto animalesco dove si poteva finire in attesa della propria compravendita. In cambio di denaro, hashish, carburante i guardiani tunisini cedono i migranti ai carcerieri libici. Il prezzario del turpe commercio schiavistico va dai 40 ai 300 dinari tunisini. Dai dodici euro in su per i giovani maschi, ottanta euro per le donne. Un po’ di più se sono madri d’un bambino. Un’offerta conveniente. Chissà se nei dialoghi fra Meloni e Saïed certi particolari sul trattamento dei migranti sono circolati.

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