Ayman al-Zawahiri, il
medico della Jihad
qaedista, ha chiuso il suo percorso - combattente o terrorista - su un balcone,
così dichiara l’agenzia Reuters,
d’una zona neppure tanto appartata di Kabul. In quell’area, abitata anche da
Signori della guerra e ora da talebani, ha sibilato il missile che l’ha
disintegrato, per volere della Central
Intelligence Agency. Disintegrato in
solitudine, s’è inizialmente detto: l’uomo era appunto affacciato all’esterno
di un’abitazione. Poi è giunta una precisazione: c’è un’altra vittima. E che
vittima! Il figlio di Serajuddin Haqqani, ministro dell’Interno dell’Emirato e
uomo di punta dell’omonimo clan che influenza non poco l’attuale governo
talebano. Se così fosse il clima di reciproche accuse seguite all’agguato: la
Casa Bianca che esulta, dice giustizia è fatta (riferendosi all’attacco alle
Torri Gemelle di cui Zawahiri sarebbe stato pianificatore) e incolpa i taliban
di aver violato l’accordo di Doha ospitando un terrorista. Mentre i turbanti
sostengono che gli Stati Uniti hanno violato la legittimità statale e l’accordo
stesso che impediva future azioni di guerra o di “sicurezza” americane sul
suolo afghano. Se la morte del rampollo Haqqani verrà confermata la famiglia
cercherà vendetta, come del resto il regime di Kabul intende questa della Cia,
giunta 21 anni dopo l’attentato addebitato al medico egiziano e a 11 anni dalla
prima punizione inflitta a Qaeda con l’eliminazione del capo supremo Osama bin
Laden. Sapere da dove sia partito il
drone che ha posto fine ai giorni di al-Zawahiri non è un fatto del tutto
secondario. Precisa le dinamiche militari del Pentagono e dell’Intelligence
statunitense dopo il grande ritiro del 15 agosto 2021. Dalla fine di quel mese
Washington dichiara di non avere militari in Afghanistan, però non ha
smantellato e abbandonato tutte le basi aeree create dal 2001. Il drone
vendicatore sarebbe potuto partire da una di queste oppure dal confine
pakistano, visto che già in occasione dell’incursione di Abbottabad quel Paese
aveva ospitato, volente o nolente, il commando dei Navy Seal che agì indisturbato nel penetrare nell’edificio dov’era
rintanato bin Laden.
Le unità speciali lo
uccisero, ne trafugarono il cadavere e lo distrussero. L’Occidente applaudì, ma si
trattava dell’ennesima operazione fuorilegge, cui nessun premier alleato oppose
critiche. Solo l’ex cancelliere tedesco Schmidt parlò di “chiare violazioni delle leggi internazionali”, quelle in base alle
quali i nemici degli Usa vengono appunto bollati di terrorismo e gli vien data
la caccia. Ovviamente nel corso dell’operazione, tenuta segreta, il governo di
Islamabad né i suoi Servizi furono messi al corrente delle intenzioni
americane. Ma Washington potè godere di basi d’appoggio, luoghi che risultano
sempre disponibili in virtù della consolidata alleanza politico-militare. Far
volare da lì un drone verso Kabul risulta più semplice che da basi emiratine,
saudite o del Bahrain. In attesa di ulteriori chiarimenti che non concernono
solo la cronaca, è bene ricordare come Zawahiri rappresentasse ormai solo un
simbolo, cui tenevano più Cia e Casa Bianca che i nuclei operativi di Qaeda.
Gli analisti li dipingono piuttosto in disarmo nelle antiche aree, mentre
resistono in Africa occidentale e orientale (Mali e Somalia) e in ristrette enclave
siriane. Il dottore se non proprio un uomo morto era certamente consunto, lo
riferivano più fonti pur non svelando la tipologia del male. Del resto
l’attuale Qaeda ha nuovi leader, un nome noto, non giovane è Saif al-Adel,
cinquantanovenne ex colonnello egiziano, che nel curriculum vanta ampia esperienza
proprio nel settore degli esplosivi. Altro orizzonte rispetto al riservato e
colto Zawahiri, proveniente da un ambiente agiato e intellettuale del Cairo,
con magistrati e letterati in famiglia. Lui stesso che aveva scelto la via
della ‘guerra santa’, portando l’iniziale contributo medico ai mujaheddin
afghani che resistevano all’Armata Rossa, scriveva versi. Teorico e
organizzatore Zawahiri riuscì a far crescere Qaeda con varie filiali, nel suo
Paese, già all’epoca dell’attentato a Sadat, quindi nella Penisola araba, in
India, e lì dove in questa fase i ranghi ridotti della struttura militare
cercano giovani combattenti: tutta la fascia sub-sahariana.
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