E’ Mohsin Dawar, presidente del Movimento Nazionale Democratico e membro dell’Assemblea nazionale pakistana, il jolly che il neoformato “Comitato di supervisione parlamentare” gioca incontrando la delegazione dei Tehreek-e Taliban. I negoziati sono stati appena riavviati. La svolta di riaprire al gruppo considerato terrorista è stata giocata dal premier di aprile Shehbaz Sharif, dopo che il predecessore Khan, era stato contestato dall’intera opposizione anche per questo genere di colloqui, lanciati nell’ottobre 2021 e interrotti senza alcun esito. Le proposte del gruppo fondamentalista di scarcerare un congruo numero di propri miliziani autori di stragi irritava i militari. La Lega Musulmana N aveva preso a pretesto anche tali aperture per attaccare l’Esecutivo e rincarato la dose con le gravi difficoltà economiche vissute dal Paese per chiedere, e ottenere, la sfiducia al primo ministro. Ora lo stesso Sharif affronta un percorso simile. Il trentasettenne Mohsin Dawar è un pashtun proveniente da una famiglia impegnata in politica. Il bisnonno partecipò alla lotta, non violenta, contro il Raj Britannico. Mohsin manifesta posizioni progressiste, è stato presidente della ‘Federazione degli Studenti Pashtun’ e, per le sue capacità mediatorie, è già stato impegnato nelle difficoltose trattative per il rientro di profughi nella regione del nord Waziristan. Lì nel 2014 l’esercito di Islamabad aveva fatto piazza pulita di militanti del TTP e pure di abitanti, accusati di dar loro sostegno e ricovero. Case, laboratori, rivendite di centinaia di famiglie erano state rase al suolo con bombardamenti. Le aperte prese di posizioni contro la lobby militare ha esposto Dawar a ritorsioni con reiterate carcerazioni, ma ne ha pure aumentato la popolarità che nel 2018 gli ha consentito l’elezione da indipendente nell’area tribale del Waziristan.
L’ingresso in Parlamento non l’ha posto al riparo da ulteriori arresti – una volta nel 2019, due nel 2020, un’altra ancora nel 2021 – comunque l’età e la tempra lo continuano a tenere in prima fila nelle questioni calde nazionali, e ora il governo chiede il suo contributo. Il “Comitato Parlamentare per la Sicurezza Nazionale”, che monitora i negoziati, gli assegna la posizione di uomo-immagine, ma dopo aver agito dietro le quinte stavolta la delegazione militare è ampiamente presente e la stampa locale la indica quale suggeritrice di Sharif per rimettere in atto quanto veniva contestato a Khan. Tratto peculiare delle attuali trattative è il profilo etnico, oltre che politico, sono infatti presenti vari capi tribali e chierici. Non si tratta solo di raggiungere un cessate il fuoco, azzerando gli attentati rilanciati nell’aprile scorso, ma di perseguire una vera fine del conflitto. Il generale Javed Bajwa per le Forze Armate è fra le voci più accreditate del tavolo, stavolta senza rivalità apparenti ha accanto il direttore generale dell’Intelligence Nadeem Anjum. Ci sono poi il capo dei maulana Fazlur Rehman, l’emiro Haq per il gruppo Jamaat-i-Islami, un inviato dell’Emirato afghano, di cui non viene rivelato il nome forse perché non si tratta d’una figura di spicco, oltre a parlamentari. L’auspicato accordo coi TTP che risolverebbe un conflitto latente dal 2008 dovrà essere soggetto ad approvazione parlamentare. Certo i fuorilegge Tehreek per rientrare in territorio pakistano - ne vengono conteggiati 30.000 fra combattenti e familiari - dovranno accettare consegna delle armi e rispetto della Costituzione, considerati elementi irrinunciabili dallo Stato pakistano. Il miracolo potrebbe verificarsi a detta di taluni osservatori: i TTP avrebbero ammorbidito la loro intransigenza su questi punti. In cambio giungerebbe l’amnistia generalizzata per tutti i prigionieri del gruppo.
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