venerdì 25 settembre 2020

Charlie Hebdo, l’incubo infinito

Nel riproporre la sanguinolenta scia e forse la ripetuta morte (uno degli accoltellati davanti alla sede parigina dell’emittente Premières Lignes Televison, dove fino a cinque anni fa c'era anche  la redazione di Charlie Hebdo, è in fin di vita) gli attentatori -  vedremo se saranno definiti jihadisti, lupi solitari, assassini consapevoli o assassini e basta - reiterano il gesto carnefice e distruttivo drammaticamente introdotto in questi anni. Il tempo scorre, l’idealizzato Stato Islamico, cui ‘macellai urbani’ come i fratelli Kouachi s’spiravano, è svanito, invece non tramonta il delirio omicida che ispira il fondamentalismo. Un fanatismo a 360° che ha avuto una versione per altre “fedi”, visto che bersagli non sono stati solo inermi cittadini occidentali falciati dal piombo e dai camion, sventrati da lame e machete. Lo sono diventati uomini e donne riuniti in moschea (attentato in Québec, 2017), passanti davanti a una Sinagoga (tentativo di assalto a Halle, 2019), giovani laici partecipanti a un campo estivo (strage di Utoya, 2011) e purtroppo i caduti in decine di altri episodi. L’integralismo è un asse portante di tendenze para politiche diffuse, difese e idealizzate da più parti se si guarda a quel che accade non solo nelle madrase del wahhabismo e di certe interpretazioni hanbalite dell’Islam. Viaggia sui tavoli della diplomazia internazionale che riscopre i taliban, ammettendoli in governi futuri. Siede sugli scranni di alcune petromonarchie carezzate dagli statisti occidentali, Macron in testa, che in queste ore giustamente lanciano anatemi contro i terroristi. Ma il terrore che, comunque, certa politica occidentale opportunista e collusa alimenta su varie piazze mondiali è sempre dimenticato per via, celato dietro interessi di parte, in un gioco infinito che diventa il giogo del libero pensiero. Ispirandosi a esso, la quintessenza della comunicazione che da millenni è la satira, propone percorsi e logiche anche davanti a chi per visioni del mondo o al contrario  chiusure, oscurantismi, propri fanatismi non comprende, rigetta, anzi accusa di blasfemìa concetti, frasi, disegni com’è accaduto alle vignette satiriche di Charlie Hebdo su Maometto. Quelle che produssero un attentato a colpi di molotov nel novembre 2011 e successivamente la vile e sanguinaria aggressione del gennaio 2015, con dodici vittime, dal direttore Charbonnier a vari collaboratori e poliziotti e passanti. Le stesse vignette che, riproposte poco più d’un mese fa, paiono diventate il pretesto per l’attuale nuovo giro di follìa. Rappresentano esse una ventata di libertà o una ruota libera che perde l’obiettivo primario di salvaguardarsi, finendo nel gorgo del fanatismo della lama? La questione non è temere ritorsioni o pensare d’essere meno salaci, bensì comprendere quanto altri punti di vista rendono sopportabile taluna satira. Le critiche ai fumetti su Maometto e al modo di porli erano venute, ben prima della criminale azione della coppia omicida di cinque anni fa, da studiosi della cultura islamica. Non imam o fedelissimi, ma docenti che consideravano eccessive quelle vignette perché irrispettose del Weltanschauung di quei fedeli. Cittadini normali che vivono a Islamabad oppure a Londra. Insomma si mancava di buon gusto. Detto da profondi conoscitori d’una certa società c’è da credere e cambiare registro. Non per abbandonare il diritto di satira, ma per meglio orientarlo. Che non vuol dire farsi suggerire su cosa ridere, ma magari far ridere anche l’oggetto della battuta, affinché sia scherzo e non scherno. 

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