martedì 17 ottobre 2017

Malta, l’isola del tesoro uccide la cronista


Ci sono truffatori ovunque si guarda. La situazione è disperata” scriveva Daphne Caruana Galizia di ciò che vedeva in un’isola piccina ed esotica, seppur per storia e lingua legata al continente. Quell’isola, Malta, nei mesi scorsi era definita da un’inchiesta de L’Espresso, l’isola del tesoro’, non per richiami letterari bensì per intrighi politico-finanziari che ne oscurano l’orizzonte. Sugli intrecci fra politica e criminalità, che in troppi casi si legano indissolubilmente, indagava e scriveva Daphne con la caparbietà della cronista, l’intuito dell’investigatrice, il coraggio della commentatrice civile. Era l’immagine della giornalista che interpreta il mestiere come servizio, non come vetrina autoreferenziale. Era. Perché Daphne, cinquantatre anni, è stata fatta saltare in aria sulla sua auto, sicuramente da una delle mani cui intralciava gli intrallazzi. Intrallazzi enormi, se si è scomodato qualcuno capace di far brillare l’auto come si fa in Medioriente o fra le cosche della mafia siciliana. Roba da terrorismo, Servizi e criminalità globale. Di nemici la giornalista maltese ne aveva un’infinità. Lei vedeva, fiutava, ricercava e scriveva. L’aveva fatto per Sunday Times of Malta e per il Malta Indipendent, ora lo faceva su Running Commentary un blog veloce come il titolo, tagliente come il suo argomentare puntuto. 
Ora il premier laburista Muscat, uno dei bersagli fissi di Caruana Galizia perché implicato in mille vicende a dir poco ombrose che ne cadenzano il percorso politico, afferma che non avrà pace “finché giustizia non sarà fatta”. Dichiarazione che somiglia a quelle che nel Belpaese si ascoltavano dopo gravissimi fatti di sangue per bocca di uomini di governo. Di motivi per far brillare, com’è accaduto, l’automobile della cronista nella campagna presso Bidnija, ce n’erano diversi. Il più grosso, che ha portato copiosi capitali sui conti panamensi di Michelle Muscat, una sorta di Leila Trabelsi Ben Ali o di Anna Moncini Craxi, proveniva dalla figlia del chiacchieratissimo ed eterno presidente dell’Azerbaijan Aliyev. Pari a un milione di dollari. La divulgazione di notizie e le inchieste giornalistiche che vedevano Daphne in prima fila avevano prodotto qualche fastidio a Muscat, così durante il periodo di conduzione del semestre europeo si dimise o, per opportunità, venne costretto a farlo. I regali, più o meno occulti, provenienti dall’Azerbaijan coinvolgono diversi soggetti attorno all’affare più grosso che il Paese del Caspio s’appresta a fare con l’Unione Europea: la Trans Adriatic Pipeline.
Quel gasdotto, dopo aver attraversato tutta l’Anatolia, porta il gas azero per circa 900 km sul suolo greco, albanese, il Mar Adriatico e, per un tratto di otto chilometri, italiano. Oltre a trovare un sostegno nello Stato turco, che ne trae vantaggi di dazio e rifornimenti di metano a bassissimo costo, Aliyev ha cercato di attirare i partner europei interessati direttamente o indirettamente. Ambasciatore d’affari per conto della British Petroleum che realizzerà le condotte sul territorio greco, albanese e italiano è l’ex premier laburista Tony Blair, di casa a Malta e nella stessa casa del primo ministro maltese. Nelle ricerche giornalistiche di Daphne il cerchio non si chiudeva solo su quest’evidente incrocio d’interessi. C’erano altri canali, alcuni noti e denunciati dalla passione civile della giornalista, altri su cui lavorava con l’ausilio del figlio Matthew, impegnato nell’International consortium of investigative journalism. Alcune tracce pubblicate, altre da sviluppare. Perché nonostante la passionalità e l’irruenza caratteriale Caruana Galizia, oltre ad affermarne con coscienza la deontologia, sapeva benissimo come comportarsi secondo le normative giornalistiche. Muscat gli aveva rifilato una querela, seguendo il costume più utilizzato da chi vuole tagliare le gambe alle  inchieste. Quindici giorni fa la cronista rivelava d’aver ricevuto minacce. Ieri è giunta puntuale la morte.

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