domenica 18 ottobre 2015

L’Egitto vota, mubarakiani in prima fila


Gli egiziani ritrovano le urne elettorali. Il generale-presidente Sisi gliele aveva promesse e poi interdette in due occasioni per ragioni di sicurezza interna. Le riconcede con i tradizionali due turni: 18-19 ottobre e 22-23 novembre, e dal voto s’aspetta l’ennesimo consolidamento al regime, personale e della lobby militare che l’ha condotto nella posizione che ricopre. E’ con lui la metà della popolazione egiziana, favorevole al golpe di luglio 2013 e al sanguinosissimo epilogo delle stragi della moschea Rabaa nel successivo mese di agosto. Da quel momento tristissimo il Paese è entrato in una spirale repressiva che ha fatto quasi duemila vittime fra gli attivisti della Fratellanza Musulmana e dei gruppi laici, ne ha condotto decine di migliaia in galera, continua a veder spargere sangue di civili e militari per l’insorgenza di attentati e guerriglia sostenuta da gruppi anche filo Isis, come i miliziani di Ansar al-Maqdis presenti nel Sinai, e pure in alcune grandi città compresa la capitale. Un’instabilità che ha preoccupato tutte le potenze impegnate fra il Mediterraneo e il Golfo.
Le novità d’un sistema elettorale ritoccato riguardano la futura formazione del Parlamento (sciolto d’autorità nel giugno 2012 dalla Corte Suprema su “consiglio” dello Scaf). I 596 membri dell’Assemblea verranno eletti per il 75% con liste di deputati indipendenti, ai candidati dei partiti spetterà il 20% e un 5% di rappresentanza è offerta a minoranze (copti, donne, disabili). Il ruolo dei partiti viene ridimensionato a vantaggio di singoli candidati, soprattutto coloro che possono permettersi di finanziare un comitato di sostegno elettorale (e magari istituire forme di acquisto del voto). Infatti alcuni magnati e businessmen dell’epoca Mubarak sono stati attivi nella formare proprie liste. Questi candidati possono avere successo in base alla proposta di tematiche locali, che s’occupano dei mille problemi vissuti dalla popolazione, e delle conseguenti promesse di soluzioni adeguate che sicuramente investiranno i propri affari. I tycoon non mancano neppure nelle stesse propriamente politiche come accade all’immarcescibile Ahmed Shafiq (ora leader del Fronte Egiziano) che perse il ballottaggio alla presidenza contro l’islamista Mursi nel giugno 2012.
Le restanti liste sostenute da partiti sono: Per amore dell’Egitto di Sameh al-Yazal, un altro conservatore, e Chiamata salafita sostenuta da al Nour e dai copti (salafiti e cristiani insieme per entrare in Parlamento). I grandi assenti, che continuano a praticare il boicottaggio, sono i Fratelli Musulmani, e altre formazioni islamiche moderate come Egitto forte di Aboul Fotouh, politico dissidente dalla Fratellanza e ormai autonomo già da tre anni. Boicottano le urne anche i salafiti di Hizb al-Watan. Nel primo turno, che sta registrano uno scarso afflusso ai seggi, si vota in 14 governatorati fra cui Giza (alle porte del Cairo, da sempre roccaforte della Brotherhood), Alessandria, Mar Rosso, Marsa e nell’Egitto profondo:  Aswan e Luxor. Tredici i governatorati coinvolti a novembre con in testa la popolosissima capitale e le calde aree di Port Said, Suez, Ismailia, Nord e Sud Sinai. La limpidezza del voto non è mai stata una prerogativa della nazione, sono previsti osservatori e proprio lo staff presidenziale è impegnato a offrire un’immagine tranquillizzante sia per un regolare accesso ai seggi, sia per operazioni di voto e scrutinio. Chi boicotta sostiene che si tratta dell’ennesimo show di falsa democrazia, mentre il jihadismo può cercare l’attentato dimostrativo.

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