martedì 30 aprile 2024

Voto indiano, prime tendenze

 


Anche in India si vota meno? E’ presto per dirlo, anche perché la Commissione Elettorale non ha lanciato nessun dato ufficiale per i turni elettorali del 19 e 26 aprile scorsi che hanno coinvolto alcuni Stati del nord est, nord ovest e del meridione orientale del Paese. Le percentuali nazionali non sono mai state elevate per l’oggettiva difficoltà logistica di talune zone che comunque, per obbligo costituzionale, vedono la macchina amministrativa portare le urne pure in luoghi impervi dell’estesissimo territorio. Il decennio segnato dal successo di Modi alla guida del gruppo nazionalista Bharatiya Janata Party ha registrato nel 2014 una partecipazione del 61% degli iscritti ai seggi (31% il risultato del Bjp, 18,5% per la coalizione del National Congress), seguita da un incremento al 67% nel quinquennio seguente (37% al Bjp, 19,50% al NC). Attuali calcoli non ufficiali stimano una flessione, nonostante il roboante lancio di se stesso nella veste di padre della patria fatta dal presidente che cerca il terzo mandato. Modi lo conseguirà per la pochezza degli avversari, per il contributo offerto da nazioni popolatissime e fedelissime al suo programma, come l’Uttar Pradesh che andrà alle urne il 20 maggio. Ma più sull’onda delle spaccature etnico-confessionali che si richiamano al Bharat, la nazione degli hindu, che ai proclami lanciati ai primordi incentrati sul cambiamento, l’anticorruzione, lo sviluppo dei cosiddetti “giorni buoni” d’una nuova India. Indubbiamente la nazione si trasforma comunque molto in funzione ipernazionalista, un mai debellato virus che contagia varie aree del mondo, e spinge al conflitto più che al confronto e alla collaborazione. Alcuni osservatori sostengono che proprio l’esasperazione del culto del leader diffonda un desiderio di estraneità di taluni strati dell’elettorato che esprimono il dissenso con l’astensione. 

 

L’impossibilità di cambiare, di affidarsi a componenti politiche capaci d’incarnare bisogni prima ancora che desideri, allontana giovani e meno giovani dalle urne. Fra i bisogni si collocano necessità primarie soggettive quali un lavoro adeguatamente retribuito, e collettive come strutture ospedaliere, drammaticamente carenti nei mesi bui della pandemia da Covid 19, istituti scolastici attrezzati mancanti in diverse aree, vie di comunicazione degne d’un colosso economico globale. Contraddizioni presenti anche in Paesi occidentali dai contorni socio-demografici meno problematici, eppure l’India che vuole trainare l’Oriente al pari e più della Cina dovrebbe aver posto le basi per alcune soluzioni. Non pare questo l’intento governativo, volto a scavare fossati ancora più profondi fra gli strati negletti della popolazione, fossati che aggiungono alle vetuste caste, le emarginazioni etnico-religiose. Pezzi forti dei due mandati finora assolti da Modi sono stati aziende e templi. La produzione tecnologica e non solo alberga in talune zone (prevalentemente il nord est e attorno alle metropoli di Mumbai e Chennai), i capitali esteri continuano ad affluire, anche grazie agli inesistenti controlli statali sulla sicurezza sul lavoro e l’inquinamento. Inoltre recenti accordi sono stati firmati con alcuni Paesi europei fuori dall’Unione, Svizzera, Norvegia, Islanda potranno esportare merci evitando le barriere tariffarie che proteggono le aziende indiane. Il patto prevede una via privilegiata anche per quest’ultime libere di lanciare prodotti in Occidente senza pagare dazi. Quello mercantile è l’unico terreno sul quale l’acceso nazionalismo scivola via senza contrapposizioni e intoppi. A ben guardare è solo uno stratagemma per aggirare regole. E’ il liberalismo sfrenato che rende le collettività disuguali, in nazioni che pregando nei templi o nelle cattedrali si somigliano. 

Nessun commento:

Posta un commento