giovedì 26 novembre 2015

Egitto: urne semideserte


Migliora di poco la percentuale di voto al secondo turno delle consultazioni politiche in Egitto che coinvolgevano 13 governatorati, fra cui la capitale, l’area del Delta del Nilo, Port Said, Suez. I dati, di fonte ministeriale, indicano un 29.9% di afflusso contro il 26.6% del turno di ottobre che aveva coinvolto 14 province. Secondo statistiche esterne il voto complessivo non supera il 21% dell’elettorato. Questo porrebbe in difficoltà la stessa assegnazione delle poltrone parlamentari in alcune località. Dei 596 seggi previsti, 448 vengono assegnati a candidati cosiddetti indipendenti (ma quasi tutti per affrontare la campagna elettorale s’appoggiano a partiti o cartelli elettorali), 120 ai candidati di lista, mentre 28 sono indicati dal presidente. Le prime libere elezioni, successive a quella che viene definita la “rivoluzione di gennaio” (2011), registrarono una corposa affluenza con oltre il 62% degli elettori. Oggi di fronte all’assenza di un’opposizione, tacitata da una spietata repressione che vede incarcerati decine di migliaia di attivisti contrari ad Al Sisi (organismi umanitari avanzano la cifra di 41.000 fra militanti, ma anche giornalisti e blogger) e non soltanto della Fratellanza Musulmana, la lista che fa il pieno di consensi è Per amore dell’Egitto del conservatore Sameh al-Yazal. Sostenitore dell’attuale regime, come lo è il sempre attivo Shafiq che però non aveva rinunciato a una sua creatura elettorale (Fronte Egiziano). Si tratta d’immarcescibili feloul, mubarakiani riciclati, attenti soprattutto al proprio business che la politica di al Sisi promette di garantire, sebbene il caos geopolitico continui a imperversare sul territorio nazionale (non solo nel Sinai) e oltre confine. Ovviamente certi affari ne risentono, quelli legati all’industria turistica in primo luogo che, dopo l’attentato al volo turistico russo, ha visto fuggire dai resort di Sharm el-Sheik decine di migliaia di turisti e fioccare altrettante disdette, ma l’instabilità limita anche il flusso di capitali dell’Oriente vicino e lontano. Reggono gli accordi e le commesse militari (gli ultimi acquisti sono ben 24 Rafale francesi per una spesa di oltre 5 miliardi di euro, mentre un anno fa un altro miliardo era stato “investito” per quattro corvette) che avvantaggiano la lobby dell’ordine, ma non risolvono le sempre aperte piaghe della disoccupazione e d’investimenti che valorizzino prodotti interni.

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