mercoledì 5 novembre 2014

Nidaa Tounes, il vecchio vestito di nuovo


Un mix di liberali e conservatori tutti invariabilmente liberisti, uomini vicini a Bourguiba, come il leader ottantottenne Essebsi, ministro degli interni e degli esteri del presidente-padrone, poi premier lui stesso per dieci mesi del 2011, dopo la fuga del despota Ben Ali. Nidaa Tounes, il nuovo primo partito della Tunisia elettorale, è una creatura di due anni di vita e appare come un coacervo di componenti unite dall’interesse di contrastare l’Islam politico di Ennahda, che timori e odi ha creato fra cittadine e cittadini della società laica. Eppure accanto ai volti di tanti giovani e speranzose donne appaiono certi businessmen, definiti dalla stampa economica compari di Ben Ali. Divenuti suoi amici subito dopo la  presa del potere tramite il “colpo di Stato medico”, lo stratagemma cui prestò consigli in qualità d’esperto d’intrighi internazionali, il premier italiano dell’epoca Bettino Craxi. Insomma nel partito del rilancio laico circolano affaristi poco raccomandabili, sodali del clan mafioso dei Trabelsi, cui apparteneva Leila, tragica first lady della Repubblica tunisina.
Durante la governance dei coniugi Ben Ali il Paese era messo a servizio dell’affarismo corrotto d’imprenditori, taluni locali, molti stranieri, senza che la popolazione ne ricevesse benefici economici e d’emancipazione sociale. Al di là della zona costiera, dove si concentravano alcune industrie e si sviluppò un’attività turistica, il resto del territorio restava arretrato e abbandonato, la redistribuzione della ricchezza era inesistente sia negli scarsi salari, ridotti anche nelle aree produttive diffusamente sindacalizzate, sia negli introvabili servizi. Per tacere del sud e di zone periferiche soffocate da disoccupazione e carovita. E’ così che si è giunti a Sidi Bouzid, al gesto estremo dell’ambulante Bouazizi immolatosi fra le fiamme e divenuto miccia della ribellione all’uomo che guidava la nazione con 99% di consensi. Il resto è storia nota: la sua fuga precipitosa a Jeddah, le casse coi denari di famiglia smistate nei paradisi fiscali e in istituti di credito sicuri. Quindi sul fronte della “rivoluzione dei gelsomini” sogni e speranze d’acquisire dignità sono finiti nell’urna e poi nelle mani dell’islam di Ennahda che prevaleva su tutti.
Pur non comportandosi come la Fratellanza egiziana, il gruppo di Gannouchi ha avuto un rapporto controverso con l’amministrazione pubblica, toccando con mano la difficoltà nell’affrontare questioni d’investimenti e lavoro per evitare i ‘balzi dell’illusione’ verso Lampedusa. Tutto inutile, perché disoccupazione e disperazione continuano a intossicare la vita dei giovani più poveri e obnubilarne la mente col mito del denaro facile all’estero. A qualcuno il micro affarismo, spesso basato sulla criminalità piccola o media dello spaccio, riesce. A qualcuno. Gli altri rimangono a sperare in governi con risorse e idee scarse o tramutano la rabbia in guerra santa. Ansar Al-Sharia è stata, ed è, una realtà presente nel Paese e odierne statistiche sull’ondata dell’internazionalismo jihadista parlano di quattromila combattenti, divisi fra Siria e Iraq, provenienti dalla Tunisia. Se tutti motivati politicamente, pur nel sanguinario progetto del Califfato, è da vedere. In ogni caso chi come Jund al-Khilafa, ha rapito e ucciso la guida alpina Gourdel l’ha fatto da retroguardia d’un banditismo posto a metà strada fra crimine e disegno politico.
Contro l’aria cupa che un certo salafismo - da cui Ennahda ha preso le distanze dopo gli omicidi degli attivisti Belaid e Brahmi - agita soprattutto nelle aree periferiche, il movimento laico ha ripreso forza. Non solo quello progressista vicino al Fronte Popolare, ma l’aggregazione diventata maggioritaria nel calderone di Nidaa Tounes, dove le forze volontarie  che raggiungono la ragguardevole cifra di 100.000 unità possono finire per far da volano alla restaurazione d’un passato già noto. Un grido dall’arme lo  lancia in queste ore il leader del Partito Repubblicano e presidente ad interim Moncef Marzouki. Intervenendo all’avvìo delle elezioni presidenziali previste per il 23 novembre, l’attivista per i diritti umani che ha conosciuto carcere e tortura del regime di Bourguiba mette in guardia da possibili rigurgiti di autoritarismo già vissuti dalla gente di Tunisia. Marzouki ammette personali errori del recente passato politico, principalmente sul non brillante governo islamico appoggiato anche dal suo partito ed Ettakotol, ma invita i laici democratici a guardarsi attorno. Su 27 candidati alla presidenza i più accreditati sono lo stesso Marzouki, Essebsi e Slim Riahi, un affarista posto a capo dell’Unione Libera Patriottica, il raggruppamento giunto al terzo posto nelle consultazioni della scorsa settimana.

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