Stare coi piedi nelle due scarpe libiche, la fasciante calzatura indossata da Dbeibah ennesima invenzione della comunità internazionale, che fa il paio con l’anfibio calzato dal generale Haftar, non porta bene all’Unione Europea e tantomeno all’Italietta del ‘Piano Mattei’. Così il nostro ministro dell’Interno e dei rimpatri, Matteo Piantedosi si ritrova respinto quale “persona non grata” insieme agli omologhi, il greco Plevris e il maltese Camilleri, durante una visita ufficiale organizzata dalla Ue con l’intento di accattivarsi i due riottosi fronti in cui il Paese è diviso dall’eliminazione del leader Gheddafi. Ieri i rappresentanti di tre approdi di frontiera: il nostro, Malta e la Grecia, avevano incontrato a Tripoli il governo locale che fa appunto capo a Dbeibah, premier scelto nel 2021 dalle Nazioni Unite per organizzare elezioni finora mai svolte. Tema dell’incontro sedicenti investimenti, che si possono tranquillamente leggere come finanziamenti a fondo perduto per evitare il rilancio di sbarchi sulle sponde settentrionali del Mediterraneo, il terrore dei tre Stati visitanti. Comunque a Tripoli, non foss’altro che per il cordone ombelicale che lega l’ultimo epigono della comparsata democratica, tutto è filato liscio. Prima di lui fra presidenti del Consiglio presidenziale, della Camera dei rappresentati, Capi di Stato referenti a un’unica città (Tripoli) e Primi ministri si sono succeduti una decina di ‘indipendenti’. Invece a Levante, dove regna il clan Haftar, con tanto di figli in odore d’eredità, eserciti personali e una trasparenza di governo palese, incentrata sul “qui comando io”, la delegazione ha avuto qualche problemino. La terna Ue avrebbe voluto incontrare Osama Hamad, premier della Cirenaica e sodale di Haftar, sebbene nel 2016 fosse stato nominato ministro delle Finanze dell’allora premier al-Serray che puntava a un governo di Accordo Nazionale che non conseguì lo scopo. Hamad nel 2018 venne scaricato da quel governo per aver espresso sostegno all’Esercito nazionale libico, creatura bellica del citato Haftar.
Che gli schieramenti e le contrapposizioni interne siano da tempo palesi e incolmabili è cosa nota a Roma, Atene e ovviamente a Bruxelles. Ma i vertici della Ue e delle singole nazioni fanno orecchio da mercante e cercano di cavalcare problemi ed emergenze per il proprio tornaconto. Così, la questione migrazione è trattata da ciascun protagonista secondo interessi di parte, la Fortezza Europa propugna respingimenti a prescindere, i due fronti libici ricattano alzando la posta: “finanziamenti” e riconoscimenti. Ora col governo considerato “buono” si scambiano visite e affari, mentre il cattivo, che pure gli stessi europei incontrano anche ufficialmente (è del mese scorso il colloquio al Viminale proprio fra Piantedosi e Saddam Haftar, uno dei figli-eredi di papà Khalifa), non è riconosciuto dall’Unione. Perciò a Bengasi puntano i piedi. Se nella visita di ieri il gruppo Ue avesse incontrato, da pari a pari, i rappresentanti dell’Est della Libia sarebbe stato l’atteso primo passo per una loro accettazione Invece il commissario che accompagnava la delegazione, l’ambasciatore Ue in Libia Orlando, ha evitato l’incontro col governo Hamad. Da lì l’irritazione dei libici orientali e il benservito al trio, rispedito a casa con l’infamante marchio di “mancanza di rispetto per la sovranità nazionale”. Ovviamente la propria sovranità, ma tant’è. Insomma un pateracchio diplomatico che accanto alla figuraccia può avere conseguenze. Per il caratterino del generale, che pur pluriottantenne appare vispo e intento a favorire il suo clan familiare, fra l'altro con denari emiratini e armi russe. Certo, usando compromessi ma pure con atti di pressione rappresentati dai temuti sbarchi di migranti. Peraltro in oltre un decennio dalle coste libiche se ne sono succeduti a ondate, compiacenti i vari premier e boss dell’est e dell’ovest, considerati amici dai nostri ministri dell’Interno di turno a iniziare dal primo “aggiustatore” di approdi: Marco Minniti. A Piantedosi, lanciato dai propri referenti d’Esecutivo, a ripercorrerne la via della trattativa è mancata qualche mossa giusta. Il ‘Piano Mattei’ necessita di revisioni e ritocchi nel campo del realismo politico-diplomatico.
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