E’ passata per Roma, conseguenza dei buoni uffici creati dallo scambio d’inizio anno fra Mohammad Abedini e Cecilia Sala rispettivamente arrestati a Milano e Teheran, la seconda tappa dei colloqui sul nucleare che un Trump pacificatore ha sdoganato con un precedente incontro in Oman. E’ il nuovo approccio sulla questione del presidente-tycoon che nel 2018 aveva bloccato il Joint Comprehensive Plan of Action sottoscritto nel 2015 dai presidenti Obama e Rohani. Non contento il Trump aggressore a inizio 2020 faceva assassinare Qassem Soleimani, puntando a umiliare l’apparato iraniano della forza che non potè ribattere se non con minacce formali. Altri tempi. In questa fase il super Donald che vuol far cessare la guerra in Ucraina, ma non quella di Gaza, “convince” Netanyahu a non bombardare i luoghi dove sorgono le centrali nucleari iraniane, soprattutto non concedendo all’alleato i mexi ordigni di profondità che andrebbero a stanare i laboratori di arricchimento dell’uranio che nei pur conosciuti siti stazionano sottoterra. Insomma per Washington non è il momento delle bombe sul suolo iraniano, si preferiscono i tavoli di trattativa. Questa è ripartita dal citato JCPA con l’aggiunta che il tempo e i cinque anni di rottura di colloqui e accordi hanno prodotto nel pur problematizzato Paese mediorientale un accrescimento delle quantità di uranio che, secondo l’Agenzia internazionale preposta, attualmente s’aggira sui 300 chilogrammi. Un quantitativo capace di rendere vicino di mesi il traguardo per l’arma atomica. Ne hanno discusso a Roma l’inviato speciale statunitense Witkoff e il ministro degli Esteri di Teheran Aragchi stazionando, però, in stanze separate nella sede dell’ambasciata dell’Oman nella zona della Camilluccia. Dal non lontano quartier generale della Farnesina il ministro Tajani s’è prestato a un’accoglienza istituzionale, mentre il ministro dell’Oman Albusaidi faceva la spola fra le stanze nell’ambasciata così da mettere a confronto le posizioni dei due. Stranezze diplomatiche capaci di evidenziare l’oggettiva difficoltà d’intendimento. Infatti la missione imposta da Trump al suo uomo in faccia alla pacificazione consiste nel chiedere agli iraniani di cessare ogni arricchimento, anche quello per uso civile. Di contro la Guida Suprema Khamenei fa dire al proprio ministro che di smantellamento delle centrifughe non se ne parla e non si scende al di sotto di quanto patteggiato dieci anni or sono. A meno che gli Stati Uniti non predispongano un cospicuo ritiro delle sanzioni applicate, partendo da quelle sulla vendita del petrolio. Per ora un braccino di ferro che necessiterà sicuramente di ulteriori avvicinamenti (per il terzo round sabato prossimo si torna in Oman) anche perché una realistica trattativa supererà sicuramente i due mesi con cui Trump afferma di dover decidere il futuro. Intanto l’alleato israeliano le bombe può proseguire a sganciarle sugli inermi civili palestinesi, gli iraniani possono attendere.
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