giovedì 9 maggio 2024

Gaza, succursale in Sinai

 


Sul futuro dei gazesi della Striscia, ultimo avamposto di palestinesi straziati e perseguitati, non esiste solo l’interessata ‘protezione’ qatarina, turca, saudita, giordana che si rapporta a quanto Tel Aviv dispone e Washington protegge. Non c’è da cadere nella trappola del recente diniego sulle ultime bombe da massacro offerto dalla presidenza statunitense, si tratta dell’ennesima recita d’un candidato dai più dato per spacciato alla scadenza elettorale di novembre. Con o senza Netanyahu, che nella crisi in corso vince solo la palma del massacratore poiché non riesce né a cancellare Hamas né a riportare a casa i restanti prigionieri di Israele, il mondo che conta decide come selezionare e sezionare ulteriormente quella popolazione. Quanta farne restare accampata fra le macerie in attesa d’un prossimo business da ricostruzione, quant’altra trasferire altrove e dove. Il rilanciato progetto Sinai, già esaminato un ventennio addietro “a danno dell’Egitto”, ha ritrovato spazio nonostante la presunta ritrosia di Al Sisi di avere fra le scatole ribelli refrattari alle normalizzazioni. Il presidente-golpista deve ingoiare il rospo e accettare questa soluzione per conservare il posto di gala nella diplomazia internazionale e il riconoscimento di ‘uomo d’ordine’ in base al quale da un decennio ha patteggiato, ripulito e orientato l’area settentrionale di quella penisola. Già infestata dal jihadismo di Qaeda all’epoca di Mubarak e nuovamente visitata, col consenso tribale dei beduini, da gruppi che si rifacevano allo Stato Islamico, fino alla fase d’oro del Daesh siro-iracheno. Poi dal 2016 quelle presenze sono scemate anche perché i loro appoggi locali hanno mutato giro. In queste vicende una figura centrale è un soggetto, diventato imprenditore di successo grazie all’empatia di servizio creata col nuovo regime egiziano al quale arrivava da galeotto. Le sue vicende le ha narrate la testata Middle East Eye che ricordava i traffici da contrabbandiere di Ibrahim Gomaa Salem Hassan al-Organi e della sua tribù, i Tarabin, la più potente del Sinai. Oggi al-Organi ha cinquant’anni e un passato burrascoso. Ha conosciuto la galera per aver vendicato un fratello, come lui trafficante, ucciso dalla polizia. La vendetta consisteva in attacchi armati a poliziotti di frontiera con morti e sequestrati. 

 

Eppure negli antefatti del biennio 2004-2006 i membri del clan Organi si facevano passare per contestatori politici e mediatori con la Stato, addirittura si vantavano d’aver aperto la strada alla rivolta del 2011 che disarcionò Mubarak. Propaganda messa su nella nuova vita alla quale al-Organi era assurto diventando amico di Mahmoud, figlio di al Sisi, infilato dal padre nell’Intelligence delle Forze Armate per controllarla meglio. Facendo leva su relazioni claniste fra i Tarabin al-Organi mise su una propria truppa mercenaria che coadiuvava l’esercito del Cairo nel ripulire la regione dalle forze islamiste armate. A papà Sisi tutto questo andava benone e da lì gli affari d’impresa, che lo scaltro Ibrahim aveva avviato, s’ampliarono sempre più. Una sua società di appalti e costruzioni chiamata Figli del Sinai allargava il raggio d’azione, controllando permessi d’ingresso e d’uscita dalla zona con tanto di “pedaggio”, ovviamente illegale, imposto a merci e persone. E’ una situazione che si perpetua, lo denunciano le Ong che operano sul confine di Rafah verso la Striscia. Del resto avere gli al-Sisi a coprirgli le spalle ha reso l’ambizioso Orani ancora più intraprendente. Da lì l’exploit di diventare presidente della società Misr Sinai for Industrial Development and Investment che ha come azionista di maggioranza, guarda un po’, l’immancabile esercito del Cairo. I gazesi hanno imparato a conoscere gli interventi delle aziende affiliate all’Organi Group già in occasione delle ricostruzioni successive all’attacco israeliano denominato ‘Margine di Protezione’ (estate 2014, duemilatrecento vittime palestinesi e una discreta distruzione logistica). Dopo l’attacco del 2021 (250 vittime palestinesi) Organi s’è garantito un appalto edilizio di  500 milioni di dollari versati dalle casse egiziane. Da volpino del deserto Ibrahim dispone costruzioni e pure demolizioni, secondo i disegni dei suoi sponsor militari. E’ successo sul confine di Rafah, abbattendo case non colpite da bombe ma sventrate dai suoi bulldozer. Ora ci sarà da vedere dove gli recapiteranno decine di migliaia di gazesi sfollati. Intanto l’affarismo di famiglia prosegue con l’erede, il figliolo Essameldin, istradato nell’azienda che si vanta d’investimenti anche nel settore dell’accoglienza. Chissà se risulterà residenziale o semplicemente assistenziale verso i palestinesi strappati alla Striscia. 


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