mercoledì 28 febbraio 2018

Slovacchia, la nuova frontiera delle ‘ndrine


Su queste pagine scriviamo di Medio Oriente, talvolta ci concediamo delle digressioni. Il caso è drammatico e triste, mostra come le Istituzioni occidentali tanto somiglino al mondo corrotto che vogliono ‘democratizzare’.
L’immagine, di per sé inquietante, è uno specchietto per le allodole. Mostra il premier Robert Fico a mani incrociate e sguardo severo, stendardi europeo e slovacco bene in mostra e il denaro, quello per cui ogni nefandezza viene perpetrata, in bell’evidenza. Un milione di euro. E’ la taglia destinata a chi offrirà notizie (sic) sugli assassini del giornalista Jan Kuciak, freddato a colpi di pistola assieme alla fidanzata Martina Kusinrova nella casa dove vivevano, a Bratislava. Uccisi perché il cronista investigativo seguiva varie piste: Panama Papers, evasioni fiscali di imprenditori locali e affari tutt’altro che trasparenti di sedicenti imprenditori italiani, incensurati ma dai cognomi ingombranti perché in odore di ‘ndrine. E’ un bel diversivo a effetto: l’autorità che richiama alla legalità, offrendo laute mance per ristabilire il buongoverno che non sa e non vuol garantire. La vicenda sembra una fotocopia di altre ‘ammazzatine’, scriverebbe il noto romanziere Camilleri, seminate in un’Unione Europea sempre più mafiosa, non solo nei sicari esecutori ma nella trama politica che li incentiva. E’ la storia che negli ultimi mesi si è veduta in una Malta tutt’altro che cavalleresca, quella che ha assassinato un’altra giornalista investigativa, Daphne Caruana Galicia, che come Jan lanciava i propri articoli-denuncia con una sorta di disperazione: “Ci sono truffatori ovunque si guarda. La situazione è disperata”.
Truffe legate indissolubilmente agli uomini di potere com’è Joseph Muscat, il premier di quest’isola del Mediterraneo definita ‘del tesoro’ e facilmente inglobata nella Ue, come lo è stata Cipro, altro chiacchieratissimo membro le cui banche servono per il lavaggio del denaro delle mafie. Chi pone gli occhi su questi paradisi fiscali a chilometro zero e cerca di svelare gli intrecci strettissimi dei loro mondi paralleli, politico e criminale, rischia di finire come i citati giornalisti. Il monito è diretto ed estremo. I cronisti di nera che s’occupano di criminalità organizzata fanno quotidianamente i conti con questi rischi, sono nel mirino più di poliziotti e magistrati, perché armati solo di fiuto, coraggio e penna per raccontare i misfatti di cui, però, killer e clan sono solo un anello di una catena lunga, lunghissima, che quasi sempre conduce in alto, nei palazzi della politica e nelle Istituzioni stesse. Il business che, secondo quanto rivelano i colleghi di Kuciak sulla testata Novy Cas sorella di Aktuality, legava i fratelli Vadalà di Bova Marina (RC) deriva dai fondi concessi dall’Unione Europea per investimenti agricoli ed energetici. Investimenti mai effettuati a fronte di denaro incassato. Storie che nella Calabria di provenienza dei sospettati, nel meridione della nostra penisola, e anche nel settentrione, vedeva già negli anni Settanta e Ottanta, durante la Prima Repubblica italica e in anticipo sul Caf simili ruberie fatte in connubio con gli amministratori politici.
Che nulla sia nuovo non consola. Perché il crimine organizzato, nato e cresciuto all’ombra della o delle nazioni, è diventato un pilastro delle medesime, come fosse un principio costituzionale. Tutti i politici, tutti i partiti che chiedono il voto ai cittadini italiani per le elezioni del 4 marzo, e lo chiederanno per future consultazioni europee, dovrebbero spiegare all’elettore medio i motivi per cui lo Stato, gli Stati, la decantata Unione Europea nelle plurivantate commissioni non dirigano, non controllino a chi vengono elargiti finanziamenti pubblici. E’ impossibile farlo? Non ci crediamo. Il sistema ammette collusioni criminali come una qualsiasi nazione fallita o Stato fantoccio. I signori degli affari, piccoli o grandi che siano, delle ‘ndrine non sono diversi dagli affaristi afghani o libici. Il parallelo non sembri eccessivo, anche perché alcune sostanze di questi interessi sono comuni: l’eroina da oppio, ad esempio. Che segue rotte conosciute, dalla Dea e dalle agenzie antidroga mondiali. Però funziona molto più l’internazionale iraniana-turco-kosovara-italiana di tale traffico che la collaborazione delle polizie, per i veti stabiliti dalla geopolitica o per gli interessi seguiti dalle politiche istituzionali nei propri piani d’azione. All’elettore viene richiesto un voto per il futuro, per l’Europa. I soliti camaleonti della scena nostrana hanno formato un partitino che ne chiede di più. Ma quale Europa? Quella che promette taglie per i reporter uccisi senza intaccare le trame di simili assassini?

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