Fare i
buoni, facendo dimenticare violenze verbali e fisiche di queste settimane. Assumere
un atteggiamento conciliante e super
partes è la tendenza che la direzione del Partito della Giustizia e dello
Sviluppo propone per le caldissime elezioni del 1° novembre, forse nel timore
che s’avveri quanto i sondaggi vanno diffondendo: un ulteriore
ridimensionamento delle percentuali riscontrate nella consultazione di giugno.
Così per porre rimedio al trend sfavorevole le liste elettorali dell’Akp
vietano l’ingresso a candidati ingombranti. L’ultimo bocciato è l’avvocato
Abrurrahim Boynukalın che in alcuni filmati visti anche in tivù s’era distinto
per le veementi arringhe, esposte non in sede legale o politica, ma per strada.
Precisamente sotto la sede della testata dell’Hürriyet che veniva assaltata da militanti islamici. Il giureconsulto-attivista
non è nuovo a interventi minacciosi che apparivano anche sul web, di fronte a
essi il premier Davutoğlu ha voluto porre un freno e censurarlo. Tagliato dalla
nuova sfida elettorale anche l’onorevole dormiglione, Uğur Işilak, che a metà
strada fra realismo e gossip, era stato colto dagli obiettivi dei fotografi in
una totale caduta fra le braccia di Morfeo. In pieno dibattito parlamentare.
La scivolata del dormiglione è stata doppia visto che, nella personalissima
campagna elettorale che l’aveva condotto al voto di giugno, l’arguto Uğur aveva
agitato ossessivamente lo slogan: “Non
sto andando in Parlamento per dormire”. Una dichiarazione d’intenti a dir
poco avventata e comunque disattesa già alla terza sessione dei lavori della
Camera. In quell’occasione non si discuteva dei temi cari al deputato (musica e
arte) bensì della più scottante questione delle azioni terroristiche e
dell’ordine pubblico; il capo dell’Esecutivo e gli stessi dirigenti del partito
avevano già trascritto il nome dell’adepto sul libro nero. Ciò nonostante i
servigi resi da Işilak al partito per il quale aveva composto il nuovo inno
della campagna elettorale. Le sviolinate con cui nel refrain salutava Davutoğlu
quale “vero nipote degli Ottomani” e “uomo probo” gli erano valse le derisioni
di alcuni media. Nel restyling mostrato da una parte dell’Akp c’è anche
l’amarcord sui princìpi fondatori del partito che sono stati disattesi e che
devono essere rilanciati. Un ‘come eravamo’ che implica però un ‘come siamo diventati’. Lo rammentano semplici
attivisti vicini all’ex presidente Gül; questi nelle rare occasioni in cui
viene intervistato, continua a ribadire le differenze fra l’avvìo dell’Akp e le
pratiche assunte dalla linea erdoğaniana.
Gli
spolveratori della linea d’antan rammentano l’imprinting dell’anticorruzione
che sollevava speranze in milioni di elettori. L’impegno per lanciare senso
etico, incremento dei diritti umani e civili, libertà di stampa, imparzialità
della giustizia, trasparenza delle istituzioni. Sembra un altro mondo, visto che
quelle parole d’ordine lanciate nella campagna politica del 2002, sono state
tutte inesorabilmente calpestate, anno dopo anno. Un processo graduale ma
costante che ha toccato il culmine quando, nel dicembre 2013 da un’indagine di
alcuni magistrati, sono saltati fuori quattro nomi eccellenti dell’Esecutivo
che, imbarazzati, non hanno potuto evitare le dimissioni. Immediata è però giunta
la vendetta, anche perché nell’inchiesta era coinvolto Bilal, il rampollo del
premier e un businessman saudita, Yasin El-Kadı, indagato anche per finanziamenti
pro terrorismo islamico. Facendo seguito alla prassi governativa, avviata da
tempo e consistente in un “turnover” nei settori giudiziario e militare, quei
magistrati che indagavano sui quattro ministri e su imprenditori “fedeli” a
Erdoğan sono stati rimossi. Eppure la diversificazione d’intenti e una sorta di
voci fuori dal coro interne al partito di maggioranza contrarie ai colpi di
mano dell’attuale presidente conducono altri membri a rivelare scontento.
Yaşar Yakış che è stato fra i
fondatori dell’Akp, afferma di non accettare l’indiscriminato uso dell’immunità
parlamentare con cui si blindano soggetti implicati in indagini. In
un’intervista alla stampa turca ancora in grado di diffondere critiche, Yakış sostiene che bisogna rilanciare “la
sperimentata campagna delle tre Y” (yolsuzluk, yoksulluk, yasaklar cioè una lotta a corruzione, povertà, proibizionismo)
sebbene lui stesso sa che il partito ha abbandonato da tempo quegli impegni. Ed
è fortunato se riguardo a divieti e proibizioni non subisce la medesima sorte
dei numerosi giornalisti incarcerati,
indagati, sospesi. Gli ultimi casi portano i nomi di: Ahmet Altan ed Enver
Ayserver. Il primo è indagato per aver espresso pareri durante un programma
televisivo che criticava la repressione contro İpek Media Group (vicino a
Fetullah Gülen), l’accusano d’insulti al presidente della Repubblica. Mentre
Ayserver è stato sospeso d’ufficio dal Direttorato dell’Informazione di
Istanbul che non gli ha rinnovato la tessera di giornalista. Nonostante le buone
intenzioni e i mascheramenti per l’establishment dell’Akp far dimenticare l’aria
che tira nell’intero Paese non sarà affatto semplice.
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