
Non c’era
bisogno dell’Intelligenza artificiale per inventare la Gaza sognata da
Trump e Netanyahu, vip papponi, immortalati sbracati a bordo vasca in
un passaggio del dibattuto video virale. Basta andare realmente nella
Disneyland delle petromonarchie, le metropoli dai grattacieli stratosferici a
picco sulle distese di sabbia del deserto e le acque cristalline del Golfo.
Arabico, come amano rimarcare gli emiri sunniti, in faccia alla geografia che
lo definisce tuttora Persico. Ma tant’è, i luoghi quelli sono. Dubai, Abu
Dabhi, Doha, Manama … Eppure le città delle meraviglie, per i ricconi locali e
gli ospiti esteri dai denari male guadagnati, e delle afflizioni per i
molti immigrati lì inservienti in una
manovalanza iper sfruttata, rappresentano uno scintillio recente, frutto del
consumo d’idrocarburi che ha fatto accelerare i motori a scoppio dal boom
economico seguito al Secondo dopoguerra. Uno spaccato di taluni
angoli e delle loro trasformazioni lo offre lo straordinario lavoro del
giornalista e storico Justin Marozzi, nel suo testo “Imperi islamici”. Un libro da non perdere.

“Tutto ebbe inizio da una perla. Più
di settemila anni fa – le date sono tanto offuscate quanto sono limpide le
acque del Golfo Persico… gli abitanti dell’Arabia orientale intrattenevano
rapporti commerciali con i villaggi più meridionali della Mesopotamia… La
pesca, inclusa quella delle perle, diventò la principale fonte di reddito di
quelle popolazioni costiere isolate. Quel villaggio era Dubai all’inizio
del XIX secolo… Il commercio delle perle possedeva un glossario tutto suo.
Nell’arabo colloquiale del Golfo la perla era chiamata lulu, dana, hussah,
hasbah. Il gioiello più misterioso era la majhoolah, di grandi
dimensioni e non particolarmente bella che conteneva talvolta al suo interno
una pietra perfetta più piccola… Inondata dai profitti del fiorente commercio
di perle negli anni Venti (del Novecento, ndr) Dubai si arricchì e s’ingrandì… Quindi
basato sul credito, che non era più
disponibile, il commercio delle perle non poteva funzionare… Tra il 1929 e il
1931 il prezzo precipitò del 75%... Lo
sceicco Said firmò un importante accordo per le esplorazioni petrolifere con
l’Iraq Petroleum Company britannica. Alla fine degli anni Quaranta, Dubai inizò
a riemergere nell’era moderna… La British Bank of the Middle East aprì i
battenti a Deira, sul Creek, in un luogo noto come Times Square, l’edificio si
notava per la sua prominente torre del vento sia per il suo gabinetto pubblico
più visibile di Dubai… La maggior parte dei gabinetti privati non erano che
buchi nel terreno… L’aeroporto fu inaugurato il 30 settembre 1960, con tanto di
duty-free, un altro simbolo eloquente della politica del laissez-faire
di Dubai… Il dominio globale della Gran Bretagna, praticamente in bancarotta
dopo due guerre mondiali, diminuiva tanto quanto cresceva quello americano…
Comunque nel 1971 col sostegno britannico vennero creati in tutta fretta gli
Emirati Arabi Uniti, Dubai era uno dei sei, poi diventati sette (con Abu Dhabi,
Sharjat, Ajman, Umm al Qawayn, Fujairah, Ras al Kaimah, ndr)… Nella graduale
diversificazione delle ricchezze derivate dalle entrate petrolifere furono
avviate una fonderia di alluminio mentre sorgevano i grattacieli… Il World
Trade Center (sì, all’americana, ndr) era una torre di trentanove piani nemmeno
dentro da Dubai, sorgeva in una striscia di deserto vuota e infestata dalle
zanzare… in seguito la Sheikh Zayed Road, autostrada a dodici corsie, divise
due battaglioni di grattacieli in competizione, luccicanti sotto il sole del
deserto… Nel 1985 il trentaseienne sceicco Mohammed bin Rashid al Maktum
domandò ai suoi colleghi: perché non trasformare la regione in un centro
turistico? Ci riuscì. Il parco giochi di arabi e turisti occidentali è stato
costruito sulle spalle dei lavoratori più poveri del sud-est asiatico. Un
esercito di immigrati pagati una miseria e costretti a vivere in condizioni
proibitive, a volte addirittura spaventose, in campi con tanto di guardie
armate. Oggi il 71% dei 2,5 milioni di abitanti di Dubai è asiatico… la
politica del laissez-faire ha comportato altissimi costi umani… l’intera
regione ha attratto un massiccio contrabbando, traffico di armi, tratta di
esseri umani, operazioni di riciclaggio, attività che s’intrecciano anche con
le reti terroristiche globali…”


“Agli ultimi piani del grattacielo
con i suoi uffici a West Bay, come un’aquila nel suo nido, il miliardario
Sheikh Faisal bin Qassim al Thani, ricorda i primi giorni di Doha…
Quando lui era già nato quello era un piccolo villaggio di pescatori di perle,
andò avanti così fino al crollo del mercato negli anni Trenta mentre la
rovinosa Seconda guerra mondiale portava distruzione anche da quelle parti
quando inglesi e tedeschi affondavano qualsiasi nave in tutto il Golfo… Alla
fine degli anni Ottanta, le strutture più alte della città erano i minareti.
L’unico edificio degno di attenzione era lo Sheraton Hotel, una piramide di
quindici piani, costruito in un terreno bonificato nel 1982. Se una volta si
stagliava sola sul mare, oggi è messa in ombra da una foresta pietrificata di
grattacieli in vetro e metallo, progettati da famosi <archistar>. Spicca
tra tutti il Burj Doha (alto 232 metri) costato 125 milioni di dollari e
inaugurato nel 2012, interamente rivestito di uno schermo in alluminio e
acciaio inossidabile con motivi intricati che fungono da protezione solare; la
sua forma fallica corrisponde a quella che i francesi chiamano une virilité
pleinement assumé, tant’è che l’edifico fra la gente del luogo è noto
come il Preservativo… Sebbene la famiglia al Thani si dica favorevole a un
diverso sviluppo urbano, sostenendo strettamente i valori islamici, gli
abitanti del Qatar pensano che si stia percorrendo la stessa strada di Dubai…
se si lavora a Doha si ha spesso la sensazione di vivere in un gigantesco
cantiere… e tutta la fortuna che fra i
confratelli-coltelli scaturisce dai petrodollari nella ‘baia occidentale’ proviene
del gas, rafforzata dall’enorme diffusione che dagli anni Settanta questo
combustibile ha avuto per l’energia globale… Il più grande giacimento di gas
del mondo entrò in produzione nel 1991, generando guadagni favolosi, attirando
nuove ondate di migranti, finanziando la continua espansione della capitale…
Benedetto da questa svolta geologica del destino, o dalla mano divina di Allah,
il Qatar utilizzò le entrate per finanziare una politica estera sempre più
assertiva, per guadagnare influenza e prestigio… una politica senza pregiudizi
stabilendo relazioni anche fra Stati che fra loro si detestano, da Israele
all’Iran… E fra investimenti lanciati all’Occidente come ami, impegno d’alto
profilo professionale nella comunicazione col fenomeno Al Jazeera il
desiderio di farsi notare, sempre e comunque, è enorme. Chi conosce gli al
Thani dice “quando Dubai costruisce un grattacielo, qui sentono di dover fare
lo stesso. Quando Abu Dhabi crea il proprio Louvre, idem…” L’emulazione è
talmente profonda da percorrere le medesime tortuose vie dei crimini dei
vicini, così nella preparazione di uno degli ultimi grandi eventi (ma altri bussano
alla porta) i Mondiali di calcio ospitati negli stadi qatarioti, ben
cinquecento operai sono morti per assenza di sicurezza nel corso delle
edificazioni. Ai lavoratori rimasti in vita dopo quell’appuntamento la magrissima
consolazione di salari comunque di fame.

“… Quando il geografo francese
Vital Cuinet giunse a Beirut nei primi anni Novanta del XIX secolo gustava
l’eterno amore cittadino per una chiacchierata davanti a un caffè e la sua
passione per il lusso e l’ostentazione, fra cinquantacinque caffetterie e
quarantacinque gioiellerie… Bevitori di caffè, amanti degli acquisti, flàneurs
e persone alla ricerca del piacere in tutte le sue sfumature erano
irresistibilmente attratti da Sahat al-Burj, la piazza più volte ribattezzata a
est delle mura della Città Vecchia che rappresentava il cuore della vita
pubblica di Beirut, un luogo di svaghi, attività commerciali, e incursioni
opportunamente calcolate nel mondo della sensualità o del più assoluto
squallore. Su Sahat al-Burj dominava il frastuono di hotel e caffè, chioschi
con orchestrine, imprese commerciali, negozi, sale da gioco, compagnie di
trasporto, bar e maisons de tolerance… Il quartiere a luci rosse, sorto
alla fine del XIX secolo su at Tariq al Mutanabbi, la strada adiacente alla piazza che porta il nome del
poeta iracheno del X secolo, venne reso in seguito famoso – anche tristemente –
dalla straordinaria carriera di Marca Espiredone, che, arrivata senza un soldo
a Beirut nel 1912 come un’orfana greca che aveva subito abusi di ogni sorta,
divenne prima una prostituta e poi la patrona, ovvero la madame più bella,
celebre e ricca della città, proprietaria della leggendaria casa di tolleranza
Marica, in cui lavoravano un centinaio di ragazze pronte a soddisfare i
desideri degli uomini ricchi e famosi della Beirut degli anni Quaranta e
Cinquanta. Con le insegne al neon che reclamizzavano sfacciatamente le migliori
offerte di ciascun bordello – Leila, al Chacra la bionda, Antoinette la
Francese, Lucy l’Inglese …”