Ci sono le facce stravolte e disperate dei sopravvissuti, di qua e di là dei
confini, fra chi sta a Gaziantep e chi ad Aleppo che non esistono più in quel
che avevano di prezioso: la fortezza bizantina, la moschea omayyade, la vita
dei propri cari. Ci sono le macchine dei soccorsi nazionali: la Turkish Disaster and Emergency Management
Authorit che Erdoğan si tiene ben stretta, e gli “elmetti bianchi” siriani,
quindi le rispettive Mezzelune Rosse, affiancate da migliaia di persone in
lotta, anche a mani nude, contro le settantadue ore che solitamente decretano
la morte del terremotato ansimante sotto le macerie. Gli accademici del
soccorso stranieri pronti a intervenire, puntualizzano: accanto ai mezzi
tecnici servono professionisti per far quel che si deve in maniera oculata.
Tutto vero. Ma la vera corsa resta quella contro il tempo, perché il salvataggio
dei seppelliti vivi si realizza in queste ore e ne sono già trascorse trentasei…
Al di qua e al di là d’un confine che è stato e tuttora resta di guerra -
seppure le viscere del globo hanno
aggiunto una devastazione al terrore seminato per dodici anni dalle bombe -
l’azione può essere differente. La Turchia agisce da Stato, con strutture
consolidate, la Siria è un sedicente Stato tenuto in vita da Russia e dalla
stessa Turchia, dopo che entrambe hanno contribuito a devastarlo assieme al leader
del regime protetto: Bashar Asad. Sotto le loro decisioni ci sono, tuttora,
milioni di cittadini. Fra chi è rimasto a vivere dov’è nato, chi è fuggito e da
anni sopravvive come rifugiato in nazioni attigue o lontane, chi ha
forzatamente abbandonato il desiderio di autodeterminazione chiamata Rojava. I
profughi siriani in Turchia potrebbero conoscere nelle prossime settimane
condizioni ancor più stranianti e strazianti di quelle vissute dalla fase del
loro trasferimento in un altrove vicino, il territorio turco, che li ha
acquisiti e “acquistati”. Di mezzo ci siamo noi, o meglio chi ci rappresenta
nelle istituzioni europee.
Davanti all’emergenza migranti che fuggivano dai campi di battaglia
siriani e approdavano sulle coste e ai confini della Fortezza Europea, la Ue dove
brillava la mente di Angela Merkel per evitare di accogliere milioni di persone
barattò con Erdoğan quella collocazione.
Tre milioni e mezzo di siriani finirono in Anatolia in cambio di tre miliardi
di euro, più tre. La vita di costoro è stata minima, spesso grama. Hanno dovuto
sopravvivere a dolore, sradicamenti, mancanza di prospettive e futuro, giovani
e adulti che fossero. Il trascorrere del tempo non ha migliorato le condizioni:
l’Europa dell’egoismo sovranista sempre più chiusa coi suoi politici al potere
(Orban, Morawiecki, Meloni), mentre il “risolutore di problemi” Erdoğan ha
dovuto fare i conti con l’effetto boomerang dell’accoglienza. Proprio le
amministrative 2019, quando il suo partito perse le maggiori città, facevano registrare
un calo di consensi all’Akp anche per
ragioni di stabilità interna: occupazione, inflazione, salari, e le volgarità
del volgo trovavano presto un capro espiatorio: la presenza dei milioni di siriani
da assistere e mantenere, e l’eventuale loro disponibilità ad accettare lavori
anche precari in una sorta di concorrenza in un’economia non più florida. Da
qui il piano di redistribuzione e reinserimento dei siriani nei territori di
provenienza, patteggiata con Asad, consenziente lo stesso Putin, comunque nell’ultimo
anno “distratto” da altri problemi e altri fronti. Il progetto era inserito in
un piano di “sicurezza” che creava campi di accoglienza nella lunga fascia fra
Turchia meridionale e Siria settentrionale, dove la mezzaluna militare turca
aveva arato a suon di carri armati una zona larga trenta chilometri, sgomberata
dalle Unità di Protezione Popolare kurde. Questa carta il presidente che vuol essere
eterno la gioca per le elezioni di metà maggio. Ora, col disastro sismico in
corso, potrà addirittura velocizzare la mano, visto che per la perdita di migliaia
e migliaia di vani, è in corso anche un’urgenza abitativa fra i sopravvissuti,
turchi e siriani. L’emergenza politica della ricollocazione dei profughi
s’affianca a quella umanitari dell’aiuto ai terremotati. Per continuare a
guidare la Turchia.