Non ha età la voglia di vita. E non teme
distanze e disagi. Bibihal, centocinque primavere - per lei è proprio il caso
di dirlo - ha percorso coi familiari prima i quattromila seicento chilometri
che l’hanno condotta dall’afghana Kunduz (la città invasa dai talebani e
bombardata dagli americani un mese fa) sino a Istanbul. Quindi più di mille per
approdare alla frontiera serbo-croata. E non bastano, perché il traguardo che
la famiglia Uzbeki si pone è la Svezia, perciò il cammino sarà ancora lungo. L’indomabile
nonnina ammette d’aver avuto male alle gambe, d’essere caduta e avere qualche
ferita, ma nel complesso di star bene e sentirsi liberata dall’incubo della
guerra. In tanti tratti, per via, il nipote diciannovenne, novello Enea, se l’è
caricata sulle spalle. Comunque il percorso più defatigante è compiuto e la
famiglia spera di non rivedere i caccia statunitensi volare e sganciare bombe.
Tutto il gruppo che, come altri afghani, ha conosciuto lutti sogna solo un'esistenza serena, lontano dal conflitto infinito che mantiene prigioniera la
propria terra.
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