Fortemente voluto dagli Stati Uniti l’Afghan National Security Forces, che
raccoglie circa 400.000 soldati al costo di oltre 4 miliardi di dollari, appare
tuttora carente di addestramento e non così
efficiente come dovrebbe per azioni complesse come lo scontro aperto coi
motivati Taliban. Costoro possono tuttora permettersi numerose perdite che, in
varie circostanze come in questi giorni a Kunduz, vengono reintegrate
attraverso azioni propagandiste di reclutamento in loco, rivolte agli abitanti
“liberati” oppure a quei detenuti che vengono fatti uscire dalle celle.
Ovviamente non tutti i prigionieri impugnano i kalashnikov, ma questa condotta
negli ultimi mesi sta pagando e chi ha preso in mano il gruppo del defunto
mullah Omar (il mullah Mansour) riesce, anche grazie a tali metodi, a tamponare
le defezioni dei talebani dissidenti che guardano all’Isis. Egualmente
approssimativa e assai meno numerosa (attorno alle 30.000 unità) è la polizia
locale (Afghan local police) cui è
assegnato il compito di controllo del territorio, cosa che fa soprattutto nella
capitale e in qualche altro centro. Ma
si tratta d’interventi superficiali.
Nonostante la presenza di armi questo genere di
poliziotti finisce per controllare il caotico traffico kabuliota o poco più.
Come del resto i colleghi soldati che, dovrebbero guerreggiare coi talebani,
s’ingegnano nell’eseguire prevalentemente funzioni di vigilanza, pattugliamento
e scorta, talvolta in maniera neppure soddisfacente visto l’esponenziale numero
di attentati degli ultimi mesi. Poiché quando lo scontro si fa aperto e duro, l’assalto
a Kunduz ne è un esempio, il piano operativo di risposta dell’esercito afghano
appare claudicante e per recuperare terreno e liberare alcuni edifici
istituzionali presi dai commando guerriglieri sono servite incursioni dal cielo
dell’US Air Force. Inoltre ciò che si sta riscontrando sempre più
frequentemente è l’ingerenza nelle vicende che riguardano armi, divise,
apparati di forza dei mai dismessi signori della guerra. Soprattutto se gli
stessi sono in buone relazioni col governo o ricoprono cariche istituzionali.
Il pensiero corre immediatamente a un boss blasonato come Rashid Dostum,
attuale vicepresidente al fianco del presidente Ghani e del “premier” Abdullah.
Il generale uzbeko, coi suoi combattenti, aveva
nel 1980 appoggiato il governo filo-comunista contro i mujaheddin pashtun, poi
s’era messo da parte per tornare a dire la sua nel quadriennio della guerra
civile (1992-1996). Attualmente continua a disporre d’un mini esercito con cui
fa il bello e cattivo tempo nelle province di Faryab e Sar-e Pot. Questa
truppa, se dovesse servire, potrebbe venir utilizzata, in barba a qualsivoglia funzione
dell’ANSF. Non si creda che Dostum si comporti così per la sua centralità
istituzionale, la legge “della valle” e del “più forte” continua a essere
dettata un po’ ovunque nel Paese, perché i warlords sono spesso governatori di
quelle aree. Così a Balkh Muhammad Noor mette anch’egli il naso su divise e chi
deve vestirle, promuovendo nell’esercito suoi scherani che gli rispondono come
milizia personale. Durante l’estate nella zona di Badakhshan, particolari
gruppi distribuivano non derrate alimentari ma armi alla gente dei villaggi. Probabilmente
si trattava di Tehreek-e Taliban che in quelle zone riparano dalle retate del
generale pakistano Raheel Sharif, loro repressore. Va così nell’Afghanistan
democratico promosso da 14 anni di missione Isaf.
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