Gli egiziani ritrovano le urne elettorali. Il
generale-presidente Sisi gliele aveva promesse e poi interdette in due
occasioni per ragioni di sicurezza interna. Le riconcede con i tradizionali due
turni: 18-19 ottobre e 22-23 novembre, e dal voto s’aspetta l’ennesimo
consolidamento al regime, personale e della lobby militare che l’ha condotto
nella posizione che ricopre. E’ con lui la metà della popolazione egiziana,
favorevole al golpe di luglio 2013 e al sanguinosissimo epilogo delle stragi
della moschea Rabaa nel successivo mese di agosto. Da quel momento tristissimo
il Paese è entrato in una spirale repressiva che ha fatto quasi duemila vittime
fra gli attivisti della Fratellanza Musulmana e dei gruppi laici, ne ha
condotto decine di migliaia in galera, continua a veder spargere sangue di
civili e militari per l’insorgenza di attentati e guerriglia sostenuta da
gruppi anche filo Isis, come i miliziani di Ansar al-Maqdis presenti nel Sinai,
e pure in alcune grandi città compresa la capitale. Un’instabilità che ha
preoccupato tutte le potenze impegnate fra il Mediterraneo e il Golfo.
Le novità d’un sistema elettorale ritoccato
riguardano la futura formazione del Parlamento (sciolto d’autorità nel giugno 2012
dalla Corte Suprema su “consiglio” dello Scaf). I 596 membri dell’Assemblea
verranno eletti per il 75% con liste di deputati indipendenti, ai candidati dei
partiti spetterà il 20% e un 5% di rappresentanza è offerta a minoranze (copti,
donne, disabili). Il ruolo dei partiti viene ridimensionato a vantaggio di
singoli candidati, soprattutto coloro che possono permettersi di finanziare un
comitato di sostegno elettorale (e magari istituire forme di acquisto del
voto). Infatti alcuni magnati e businessmen dell’epoca Mubarak sono stati
attivi nella formare proprie liste. Questi candidati possono avere successo in
base alla proposta di tematiche locali, che s’occupano dei mille problemi vissuti
dalla popolazione, e delle conseguenti promesse di soluzioni adeguate che
sicuramente investiranno i propri affari. I tycoon non mancano neppure nelle
stesse propriamente politiche come accade all’immarcescibile Ahmed Shafiq (ora
leader del Fronte Egiziano) che perse
il ballottaggio alla presidenza contro l’islamista Mursi nel giugno 2012.
Le restanti liste sostenute da partiti sono: Per amore dell’Egitto di Sameh al-Yazal,
un altro conservatore, e Chiamata
salafita sostenuta da al Nour e dai copti (salafiti e cristiani insieme per
entrare in Parlamento). I grandi assenti, che continuano a praticare il
boicottaggio, sono i Fratelli Musulmani,
e altre formazioni islamiche moderate come Egitto
forte di Aboul Fotouh, politico dissidente dalla Fratellanza e ormai
autonomo già da tre anni. Boicottano le urne anche i salafiti di Hizb al-Watan.
Nel primo turno, che sta registrano uno scarso afflusso ai seggi, si vota in 14
governatorati fra cui Giza (alle porte del Cairo, da sempre roccaforte della
Brotherhood), Alessandria, Mar Rosso, Marsa e nell’Egitto profondo: Aswan e Luxor. Tredici i governatorati
coinvolti a novembre con in testa la popolosissima capitale e le calde aree di
Port Said, Suez, Ismailia, Nord e Sud Sinai. La limpidezza del voto non è mai
stata una prerogativa della nazione, sono previsti osservatori e proprio lo staff
presidenziale è impegnato a offrire un’immagine tranquillizzante sia per un
regolare accesso ai seggi, sia per operazioni di voto e scrutinio. Chi boicotta
sostiene che si tratta dell’ennesimo show di falsa democrazia, mentre il
jihadismo può cercare l’attentato dimostrativo.
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