La vicenda della giornalista inglese Jacky
Sutton, ex volto della Bbc e direttrice dell’Institute for war and peace reporting, trovata morta (suicida
sostiene la polizia turca) in un bagno dell’aeroporto internazionale Atatürk di
Istanbul, è tutta interna al conflitto di destabilizzazione mediorientale che
si combatte anche sul fronte della controinformazione e disinformazione. La cinquantenne
era una reporter navigata. Aveva avuto esperienze su reali fronti di guerra in
Iraq e Afghanistan, seguìti non da embedded
nei compound o negli alloggi messi a disposizione dalla Nato, ma attraverso la
rete pacifista e quella della guerriglia resistente. Doveva recarsi nei
territori kurdi e, secondo la ricostruzione delle indagini, avrebbe perso un
aereo verso quella destinazione (Erbil). Avrebbe dovuto acquistare un nuovo
biglietto ma non aveva denaro sufficiente (versione degli investigatori),
sebbene sul suo corpo siano stati trovati 2300 euro. Da lì il folle gesto
d’impiccarsi coi lacci delle scarpe (sic) al quale nessuno dei colleghi e di
chi l’ha conosciuta crede. Molti ricordano l’umanità della Sutton, la sua
determinazione femminile, la serietà professionale, la competenza approfondita
con un dottorato nel Centro di studi islamici australiani. Non era afflitta da
problemi personali o depressione.
Il sospetto è che il suo sia l’ennesimo omicidio
volto togliere di mezzo le figure sgradite del giornalismo investigativo e di quello
che s’avvicina alle componenti in lotta contro i progetti d’un potere che
ridisegna angoli del mondo. La Turchia erdoğaniana è uno di questi sistemi. Da
almeno un biennio sta lanciando un attacco senza esclusione di colpi nei
confronti dei media, e alle maniere forti (censure, carriere stroncate,
arresti) può far seguire anche azioni losche, mirate a rimuovere l’ingombrante
presenza dei cronisti scomodi. Metodi già usati da autocrati, il caso Putin è
noto, che odiano l’informazione alla stregua di qualsivoglia manifestazione di
dissenso verso la propria personalizzazione del comando. L’organismo nel quale
Sutton era impegnata negli ultimi anni promuoveva il giornalismo nei luoghi di
guerra e aveva già dovuto piangere una vittima: il direttore Ammar al-Shahbander,
ucciso nello scorso maggio da un’auto-bomba a Baghdad. Lei aveva preso il suo
posto e c’è chi ha pensato di imitarne anche l’uscita di scena. Il Direttore
esecutivo dell’istituto ha chiesto al governo di Ankara un’indagine
approfondita e trasparente, ma il suo appello finora non è stato supportato da
note di Downing Street.
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