Ventiduemila pazienti curati e circa seimila
operazioni chirurgiche effettuate nel 2014 in Afghanistan, ora però i Medecins sans frontières lasciano il confine afghano perché diventati bersaglio di quello che definiscono un ‘crimine di guerra’. Un’accusa
che gli organismi Onu iniziano a considerare di fronte alle giustificazioni
statunitensi. Da parte americana sono giunte nell’ordine: le scuse del
presidente Obama, la promessa di un’inchiesta, le motivazioni del responsabile
delle operazioni militari in Afghanistan. Da quest’ultime si riceve conferma
che non accadrà nulla, visto che le regole d’ingaggio considerate d’urgenza non
tengono conto di notizie conosciute, in questo caso le coordinate dell’ospedale
e le angosciose telefonate compiute dal personale sanitario ai comandi
americano e afghano ad attacco iniziato. I trenta minuti di fuoco non si sono
fermati poiché a terra c’erano marines in difficoltà, erano questi ad aver
richiesto il sostegno aereo e non importava nient’altro. L’AC-130 che
bombardava è un mastino dell’aria che scarica le sue bocche di fuoco con geometrica
precisione. Perciò fra le macerie dell’ospedale sono stati raccolti ventidue
cadaveri e si contano decine di feriti sospesi al filo d’una sopravvivenza
incerta, nel migliore dei casi menomata. Questo è accaduto, questo potrà
succedere ancora, a Washington non si sentono in colpa.
E neppure a Kabul. Per la ripresa di Kunduz, tuttora
parziale, sono stati sferrati dodici attacchi aerei con le conseguenze
distruttive e luttuose che il popolo afghano ben conosce. Ma il governo Ghani e
Tolo tv schivano il dramma di Medici senza frontiere ed elargiscono
elogi all’intervento Nato come non fosse accaduto nulla d’inumano, come se le
sofferenze della gente e di chi le fornisce reali aiuti umanitari, non quelli
che mascherano uniformi e interessi geostrategici, fossero superflui. L’Ong
sanitaria ha comunicato che durante l’emergenza della settimana di Kunduz ha
assistito 400 persone. Ora, con la con la chiusura dell’ospedale e il ritiro
del proprio personale, i feriti di questa o future incursioni dovranno prendere
la strada di altre province, poiché piccole cliniche e infermerie della zona
non sono equipaggiate per far fronte alle emergenze. Le aree di Baghlan e
Takhar sono ad almeno due ore di viaggio, ma coi check-point disposti per via
dall’esercito e dagli stessi guerriglieri talebani i fermi e le perdite di
tempo risultano ordinari, rubando tempo prezioso ai soccorsi. Né l’apparato amministrativo e neppure parte
della cittadinanza di Kunduz, certamente atterrita dall’assedio talebano,
sembrano credere alle solenni dichiarazioni di MSF che nessun miliziano di
Mansour stesse combattendo o si nascondesse nell’edificio, motivo per il quale
i marines avevano richiesto l’assistenza aerea. Si guarda alla sostanza con cui
si è riusciti a scongiurare un pericolo e non si bada ad altro.
Una ricercatrice di Human Rights Watch presente nel Paese afferma senza peli sulla
lingua che “davanti al diffuso timore
della popolazione per la sua sorte futura e alla debolezza delle Forze Armate
locali la tendenza è passare dalla rassegnazione al cinismo”. Cosicché
questi crimini vengono taciuti e sotterrati assieme ai cadaveri, come s’è fatto
negli anni della guerra civile dei Warlords e con le prime diffuse stragi dell’Enduring freedom. Nella politica solo
gli ultimi tempi della gestione Karzai vedevano il furbastro presidente, sempre
ligio alle direttive della Casa Bianca, indignarsi per qualche “danno
collaterale” di troppo e, assieme a qualche suo amico Signore della guerra
(sic), inscenare qualche protesta ai protettori e finanziatori d’Oltreoceano.
La linea adottata da Ghani appare ancora più meschina. L’uomo cresciuto sotto
l’ala protettrice del Fondo Monetario Internazionale appare addirittura sulle
homepage della Nato, quale esemplare di
politico assoggettato alle direttive di quest’organo di guerra. Molto più che
un ostaggio, un collaboratore a tuttotondo. Qualsiasi mossa giuridica per
indagare sull’accaduto non solo troverebbe, come da copione, l’US Army a far
quadrato sui suoi uomini e sulle decisioni prese, ma innescherebbe una sorta di
ricatto attorno al ritiro dei marines dal suolo afghano, anticipato rispetto al
2016. Ghani è terrorizzato dall’ipotesi, dunque: che le bombe continuino pure a
scandire le giornate afghane.
Nessun commento:
Posta un commento