Ashraf Ghani avrebbe
formato una delegazione di una decina di persone per avviare i colloqui inter-afghani.
Per ora non trapelano nomi, si sa soltanto che non ci sono rappresentanti di partiti
e movimenti. Sarà anche per questo che immediato è giunto il disconoscimento
della sua già scarsa autorità. Due figuri della politica interna come Hekmatyar
del partito Hezb-e Islami e Noor di Jamiat-e Islami hanno rispettivamente fatto
dichiarare dai portavoce: “Il presidente
ha fallito nel creare politiche di consenso per la leadership del processo di
pace e per istituire una delegazione” e “Nessuno può sedersi coi talebani e difendere i diritti del popolo”.
Ciò vuol dire che la fronda interna al percorso di Ghani s'allarga, aggiungendo altri elementi all'auto proclamato antipresidente Abdullah. Ma nella gara delle dichiarazioni, il rappresentante del presidente
ha rassicurato: “La formazione della
delegazione è in corso, a breve si potrà procedere con l’avvio degli incontri”.
Occorrerà vedere se la diplomazia talebana accetterà questo percorso, perché
oltre al riconoscimento degli interlocutori, che non riconoscono né
ufficialmente né formalmente, c’è di mezzo la questione del rilascio dei loro
prigionieri nelle mani del governo di Kabul. L’escamotage di offrire 1500
scarcerazioni scaglionate, lanciata nei giorni scorsi da Ghani, è stata
inizialmente rifiutata dai turbanti. Qualche osservatore sostiene che i “coranici”,
per non far saltare l’intero castello delle trattative lungo ormai venti mesi,
potrebbero anche adottare una linea più morbida. Però il ma è d’obbligo. I
talib si sono anche riferiti all’emergenza sanitaria mondiale del Covid-19 per
ricordare che uno sfoltimento della popolazione carceraria è opportuno visto
che il governo non ha i mezzi per sostenere l’impatto epidemico in prigioni che
sono, comunque, sovraffollate. Non è chiaro se il pronunciamento fosse generale
o interessato e riferito solo ai propri prigionieri. In ogni caso mirava a
rilanciare il concetto dei cinquemila subito fuori. Ma fra i politici c’è chi
si esprime decisamente contro questa misura degli accordi. Il partito di
attivisti democratici Hambastagi in una manifestazione tenutasi domenica nella
capitale ribadiva che la liberazione dei combattenti islamici è un passo falso.
“Il processo di pace non ha alcuna
relazione col rilascio dei taliban” ha affermato un membro del partito,
mentre la portavoce Selay Ghaffar rincarava “L’Afghanistan non conoscerà la pace con quest’accordo segreto”. La
popolazione ne è cosciente, non ha la forza per imporlo. Così la partita resta
aperta e gli interessi di parte continua a contare più della vita della gente e
del loro futuro.
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