Sfilata d’onore e foto
pubbliche
per il ministro dell’Interno dell’Emirato dell’Afghanistan, Sirajuddin Haqqani
di cui per anni girava solo l’immagine segnaletica, semicoperta da un mantello,
divulgata dalla Cia che valutava la sua testa 10 milioni di dollari. A lungo
quella foto fece il paio con l’iconica (almeno per gli studenti coranici)
inquadratura del mullah Omar che guardava severo con l’occhio rimasto buono.
Neppure nel momento mediatico più alto per i turbanti afghani, nei frenetici
giorni seguiti all’ingresso a Kabul del 15 agosto - quando ancora
imperversavano le telecamere occidentali a mostrare i concitati preparativi di
fuga statunitense, la massa di cittadini che spingeva all’aeroporto Karzai
sperando di salire su un volo, col Gotha taliban dispensatore di conferenze
stampa e pubblici incontri coi media - il temibile capo del suo clan, supervisore
di uno dei settori chiave del potere, fu immortalato da alcun fotografo. Ed
eccolo materializzarsi stamane, mentre passa in rassegna reparti dell’Accademia
di polizia nella capitale afghana. Tutti tirati a lucido, vestiti in uniforme,
schierati sotto il vessillo bianco dell’Emirato. Gli scatti sono stati diffusi
ufficialmente con tanto di commento del portavoce governativo Zabihulla
Mujahid. Invece fino alle soglie della chiusura del 2021, quando le delegazioni
talebane viaggiavano sino in Europa (Oslo) per incontri sull’assetto futuro del
Paese, il volto di Haqqani appariva nascosto o sfocato. Fra i primi commenti a
questo cambio di passo negli stessi attuali vertici afghani ci può stare una
totale legittimazione della sua persona garantita anche dall’estero, forse
persino dalla Casa Bianca che lo declassa dal ruolo di terrorista. Ma è solo
un’ipotesi. Collegata, comunque, al realismo politico che negli ultimi due mesi
ha avvicinato esponenti del governo di Kabul a rappresentanti di potenze
regionali e mondiali per mediare sulla geopolitica nell’area. Parlando del
network Haqqani la chiamata di correo a strutture come l’Inter Service Intelligence di Islamabad è d’obbligo. L’aiuto, le coperture
ai talebani interni ed esterni sono note da tempo, appartengono ai giochi
sporchi degli apparati pakistani della forza, l’altra lobby è l’Esercito. Del resto
la designazione ufficiale di Sirajuddin quale ministro dell’Interno ai vertici
dell’Emirato era avvenuta dopo una visita lampo del responsabile dell’Isi a Kabul. E se fra gli analisti c’è
chi sostiene come le ultime mosse della diplomazia dei turbanti miri all’uscita
dal cono d’ombra che l’ha protetto e comunque caratterizzata finora per cercare
una dimensione “governativa”, altri restano scettici. Perché nella rete Haqqani
ci sono fratelli, zii, pur collocati ai vertici dell’Emirato, che hanno una
radicata e lucrosa attività con le mafie mondiali per il traffico dell’oppio e
praticano la spartizione di affari con insospettabili dell’economia non solo
mediorientale. Oltre agli antichi sanguinari attentati (2004, 2008) attribuiti
al gruppo, resta il chiodo fisso sugli stretti rapporti con al-Qaeda, che non è
più quella d’un tempo, ma non s’è neppure dissolta. Il ministro Sirajuddin continua
a fare il doppio gioco oppure ormai è solo un fotografabile talebano di
governo?
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