Fondamentalismo
pre-talebano -
Mentre i progenitori dello Stato Islamico, come Al-Zarqawi hanno speso anni per
complottare, schematizzare, sognare una società islamica, non c’era alcun talib
in quella preistoria. Il network deobandi-sufi, in cui i talebani erano collocati,
ha una lungo processo di attivismo politico specie in Pakistan, dove gli ulema
hanno avuto una funzione di lotta anticoloniale. I mujahhedin, con cui i
taliban si sono rapportati nella resistenza all’invasione russa, hanno
teorizzato uno Stato islamico, ma fra i turbanti solo una minoranza pensava a
questa soluzione, molti ipotizzavano addirittura il ritorno d’un re alla fine
di quel jihad. E’ una sorta di paradosso il loro: volevano rovesciare il
vecchio ordine, forgiare uno Stato, puntare a un processo che spingesse le
prospettive lontano ma restavano piuttosto defilati. Anzi, durante la prima
fase della guerra civile (1992-94), che contrappone l’un contro l’altro diversi
mujahhedin diventati Signori della guerra, parecchi talebani rientrarono nelle
madrase o ripararono nei villaggi del sud del Paese. Preferivano restare
neutrali davanti ai comandanti-banditi intenti a spartirsi la scena di sangue
sulla pelle della popolazione. I partiti islamisti che si dividevano vari
distretti afghani si rapportavano a usi e tradizioni rurali e tribali con un
andamento alternato: talvolta li facevano propri, altre li contrastavano
attuando forme di “rieducazione” e, quando queste non bastavano, introducevano
un’aperta coercizione. Un esempio: la gente di Herat aveva l’abitudine di
allevare piccioni, l’usanza venne cancellata in breve tempo a seguito d’un
drastico divieto. Furono pure proibite le performances musicali, solo per un periodo
vennero ammesse nei matrimoni, ma non durò molto.
Coscienza
critica -
L’Ufficio delle virtù, istituito sotto la presidenza di Rabbani (1992-1996)
vigilava sui comportamenti popolari. E le norme rivolte alle donne, che nel
periodo di governo talebano (1996-2001) diventeranno rigida prassi: come il
divieto d’uscire senza l’accompagnamento di parenti, la negazione di un
abbigliamento attrattivo usando gioielli e profumi, l’impossibilità di rivolgersi
a stranieri, parlare a voce alta in pubblico, erano tutti già presenti nella
quotidianità diffusa, non solo nei villaggi, ovunque i comandanti
fondamentalisti si scontrassero. Assieme a queste proibizioni si attuavano
misure drastiche verso ladri e omosessuali, forme d’oppressione nei confronti
di giovani che venivano rasati (gesto che nella mentalità tribale aveva un
valore di evirazione) per diventare oggetti sessuali delle gang concorrenti. Dal
canto loro i talib si davano un’aria da paladini quando, in mezzo alla guerra
civile, compivano azioni contro i cosiddetti pataks, uomini armati che ai checkpoint depredavano chi transitava.
L’iniziativa rientrava nella propaganda per pacificare il Paese finito nel caos
dei conflitti interni, e a un certo punto i talebani cominciarono a reclamare sicurezza
e l’assoluta necessità di costruire un “vero Islam”. Il progetto vedeva gli
studenti coranici esaltare le radici del ‘villaggio pashtun’ come ideale di
purezza. Dall’aspetto esteriore ai pensieri interiori tutto doveva rientrare in
una specifica filosofia di vita che conservava o ripescava gli antichi costumi.
Dunque barbe lunghe maschili e burqa femminili, demonizzazione delle
innovazioni tecnologiche e anche dell’abbigliamento, ad esempio il vezzo di
allacciare i turbanti. Sul fronte ideologico i talebani puntavano a coniugare
il rispetto della tradizione con le componenti epistemiologica, disciplinare e
strategica, reagivano contro quello che si può definire il modernismo
nell’Islam e puntavano a limitare le influenze del wahhabismo salafita nelle
varie province.
Portabandiera
della lotta all’oppressione - La fase che precedette la loro presa del potere
vide politici e religiosi della famiglia talebana condurre battaglie contro le
posizioni dei vari Rabbani, Sayyaf, Hekmatyar che venivano considerati
diffusori di idee fuorvianti; i testi su cui quest’ultimi s’erano politicamente
formati (molti della Fratellanza Musulmana) furono proibiti. La polemica
viaggiava sul terreno del pensiero e della linea, i talib si facevano
portabandiera della lotta all’oppressione, che non riguardava solo
l’occupazione straniera, ma criticava ferocemente la corruzione dei governi,
quelli fantoccio e quelli sedicenti islamisti. Esaminava il problema della
giustizia sociale contro la depravazione della ricchezza e il lusso,
considerato estraneo ai princìpi della Shari’a.
Toccava argomenti che possono apparire futili, sulla presenza nella vita quotidiana
dei cani, per finire su aspetti nient’affatto secondari che dall’estetica
giungevano all’arte, condannata all’epoca dai miliziani coranici perché
accusata di imitare la creazione divina. Da lì le punizioni lanciate contro gli
artisti, sino alla distruzione di opere-simbolo come i Buddha di Bamiyan. La
teoria della legge applicata con la punizione esemplare, pur nel suo contorno coercitivo
segue un percorso “morale” e svela giustificazioni da “meno peggio” nei casi in
cui i responsabili delle ritorsioni minimizzano il rischio di scenari peggiori,
per cui al confronto delle stragi della guerra civile, le esecuzioni
risulterebbero accettabili… Esistono concettualizzazioni sul tema. Ad esempio,
la battaglia per estirpare il gioco d’azzardo punta non solo a eliminare il
vizio bensì a stroncare l’abilitazione del vizio. Se l’atto, non l’intento, era
soggetto alla disciplina, diventava più sicuro rimuovere le condizioni
sotto cui l’azione illecita poteva accadere.
Il potere
della frusta -
Sul ‘potere della frusta’ due figure centrali del movimento talebano, il
celebrato mullah Omar e il mullah Turabi (che per tutto un periodo collaborò con
lui, vestendo i panni di ministro della Giustizia) diedero interpretazioni
diverse. Il primo sosteneva il valore ‘educativo’ del rigore, Turabi a un certo
punto propose di bloccare le punizioni pubbliche. Alle divergenze pare
contribuisse una certa lotta per il potere presente fra i due chierici
impegnati in politica, e a ben poco servì anche la parentela stabilitasi per
acquisiti matrimoni. Antiche notizie ricordano come nel 1995, durante l’assedio
di Kabul, Turabi cercò di convincere l’altro mullah a negoziare con l’Alleanza
del Nord. Omar oppose sdegnato rifiuto, leggendo nella proposta un tentativo
per screditarlo e farlo rimuovere dal ruolo di leader. Di fatto durante il
quinquennio di regime talebano la polizia religiosa ebbe un ruolo centrale nell’orientare
la vita della popolazione e - a detta degli autori della ricerca Gopal e van Linschoten - la funzione partiva
da aspetti esteriori e comportamentali, entrava nel terreno della corretta via
islamica, ma puntava direttamente a un controllo sociale delle masse. Accreditandosi
come guida spirituale il mullah Omar si
autoproclamò “comandante della fede” (amir
ul-mumenin). Nel dare corpo alla politica amministrativa il governo
talebano dovette fare i conti con questioni finanziarie e mentre condannava il
sistema mondiale delle banche, tranne cercare scappatoie riguardo alla sua
Banca Centrale, si poneva domande sulla raccolta di denaro attraverso le tasse.
Sono quest’ultime in contrasto col santo princìpio della zakat? Questione rimasta insoluta, forse, per la breve durata
dell’esperienza di potere dei turbanti.
Caduta e
risalita -
Mentre tuttora gli analisti s’interrogano sulla volontà talebana rivolta più
che d’inseguire un’arte di governo al desiderio di legittimarlo, all’interno e
all’esterno della Umma, in casa quell’esperienza venne messa in crisi da due fattori.
Il primo risultava interno all’internazionale combattente, e qui spicca il
rifiuto della resa a Bin Laden (l’esatto contrario, dunque, della teoria della
sua protezione sulle montagne fatte bombardare da George W. Bush all’avvio dell’Enduring Freedom). Il secondo riguardava
il malcontento della popolazione contro i divieti imposti alla coltivazione
dell’oppio e per l’obbligo della coscrizione militare. Il voltafaccia della
gente sfociò in un profondo odio. Ma non durò a lungo: sono bastati tre anni di
operazioni militari Nato, le stragi della citata Enduring Freedom e la sostituzione con l’Isaf Mission, (dal 2001 al 2004), quindi l’introduzione del
governo servile e corrotto di Karzai che ha gradualmente cooptato diversi
Signori della guerra, perché agli occhi di tanti afghani i talib potessero
ripresentarsi come gli unici difensori del suolo patrio e rispolverare le
funzioni di guardiani della tradizione e della nazione. Nella propaganda
talebana le similitudini fra il 1980 e il 2001 si sono ripetute
incessantemente: lo sfacciato ateismo, la repressione verso gli ulema in tante
province rurali hanno offerto un quadro cui nuove generazioni, dal 2007 in poi,
hanno prestato ascolto. “Calpestare la
cultura afghana, distruggere il sistema islamico” sono refrain che ritornano in
una propaganda aperta anche all’uso di altri mezzi, un tempo osteggiati
dall’ortodossia talebana per i conflitti ideologici con l’Islam modernista. E
ancora “la Crociata occidentale contro l’Islam”. Sostenendo una battaglia
contro questi pericoli i militanti coranici hanno rilanciato il jihad afghano.
“Questa non è una guerra ordinaria, è una
guerra santa, volta alla difesa dei nostri valori culturali, dell’identità e della
libertà. Se tale è il prezzo dello sviluppo e del nostro sangue, continueremo a
combattere” afferma uno studente coranico diventato comandante sul campo.
Identità,
libertà, sangue e flessibilità - E dal periodo immediatamente successivo alla
caduta del regime, quand’era ancora vivo e vegeto il deus ex machina del
movimento, mullah Omar, i talebani rilanciano il proprio disegno incentrato su
resistenza all’occupazione militare e lotta ai governanti corrotti. Primo
passo: raccogliere e formare nuovi combattenti, ma con orizzonti più ampi del
precedente periodo e un’attenzione alle trasformazioni, riguardante pure quella
tecnologica prima rifiutata e nel caso della telefonìa mobile (20 milioni di afghani
usano i telefoni cellulari) ora utilizzata per la propaganda. Da anni i talib
reclutano giovani che rientrano dai campi profughi pakistani e dal territorio
autonomo confinante (Fata), alzano il livello dello scontro chiedendo ai
miliziani anche il martirio che, dopo la guerra irachena, è diventato pratica
diffusa. Ne trovano giustificazione interpretando alcuni passi del Corano. Il mullah
Omar era contrario alla scelta, non voleva perdere uomini, ma la pratica s’è
diffusa e con essa le stragi, anche di civili. Pur mirando a un proprio credo
ideologico-politico con cui s’oppongono alle tattiche di Jamaat e Broterhood, considerate forze riformiste,
i talebani del nuovo corso sono più flessibili alla circolazione di idee. Ora
accettano confronti con altre componenti islamiche e, in alcuni documenti,
ammettono anche l’aiuto fra non musulmani. Non pongono limiti a tatticismi se
il ritorno può essere utile alla causa. Riflessioni riprese da un loro report,
trattano di taluni impiegati dell’amministrazione del Wardak. “Devono essere considerati infedeli?” è
la domanda posta a un mullah comunicatore. La risposta è affermativa, se, come
si presume, sono pagati dagli invasori che notoriamente non danno denaro senza
contropartite. Eppure essi potrebbero mutare indirizzo e collaborare coi
ribelli… Ora la linea è meno tranciante
e più possibilista. Bastone e carota vengono lanciati secondo princìpi
autoctoni che, però, gli stessi occidentali praticano a proprio vantaggio. Quando
occorre la mano pesante della vendetta, i talib ripropongono un volto
integerrimo, come accade a quei khan,
malek e capi tribù che mantengono cordiali
rapporti coi governativi e dunque vengono puniti. Takfirismo è il neologismo
coniato per comportamenti giudicati contrari alla morale islamica e per questo
considerati empi. I tatticismi esasperano la visione del fine che giustifica i
mezzi, tantoché il network talebano, già diviso in tutta la fase
post-governativa esaminata nella ricerca, vive, specie dopo la dipartita del
mullah Omar, ulteriori frazionamenti.
Tatticismi
- Si
possono incontrare gruppi di insorgenti che collaborano con chi pratica
rapimenti, estorsioni, furti, traffico d’oppio, prassi un tempo inconcepibile
per il rigore talebano. Ma i veri tatticismi sono altri. Riguardano l’analisi,
che nel mondo islamico individua componenti riformiste e rivoluzionarie e ha
condotto il network a osservare e dialogare con entrambi i fronti. Ne deriva
una sua collocazione sulla sponda rivoluzionaria d’un jihadismo che non
dev’essere necessariamente transnazionale. Proprio qui sta la differenza con
gli attori dello Stato Islamico: i taliban afghani pur parlando di Umma non
conducono offensive esterne ai propri confini. Si pongono in un’ottica
nazionale, proponendosi come movimento patriottico volto a riunire la comunità
degli afghani indipendentemente da tribù ed etnìe d’appartenenza. Sembra
abbandonato un cavallo di battaglia del movimento che collocava la maggioranza
pashtun al centro del progetto dell’Emirato. Così il nazionalismo resta, ma si
rivolge a tutta la popolazione. E i reiterati attacchi che continuano a colpire
le minoranze interne, soprattutto gli hazara sciiti, paiono manovrati da quei
dissidenti che hanno creato un cartello con la sigla del Daesh. Certo i talib
delle Fata e in rapporto col Pakistan, come i Tehreek, autori di molte stragi
da Peshawar a Lahore, seguono logiche differenti e opposte i cui sviluppi, con
e contro i turbanti afghani, sono tutte da verificare. Comunque agli occhi dei
politologi si dipana un orizzonte diverso dal ventennio precedente. Con una
costante: la guerra può proseguire al di là della presenza delle truppe
d’occupazione. Un ulema vicino ai taliban ha definito l’Afghanistan “la casa
della guerra” (dar ul-harb) perché lì
si reitera attraverso lo Stato-fantoccio un modello di servilismo
all’Occidente. E da un paio d’anni, nonostante il copioso ritiro dei marines (ne sono rimasti circa diecimila), gli attacchi al governo Ghani
sono cresciuti notevolmente. Tutto questo è destinato a proseguire, e una delle
ipotesi che ha ripreso fiato è la via delle trattative, dell’accordo coi
resistenti, del loro trascinamento nel processo politico in corso. Un espediente,
non nuovo, per contrastare il tatticismo dei resistenti. Sebbene quest’ultimi la partita sembrano
volerla giocare seguendo tutta la distruttiva irregolarità che i nemici
cangianti nei decenni hanno introdotto.
(2 - fine)
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