La via
del vero sull’omicidio di Giulio Regeni, che mostra il governo italiano tenere
alta la bandiera della dignità e respingere i depistaggi del regime egiziano,
dovrà fare i conti col Sisi-pensiero. Che è altro dalle versioni di comodo che
s’alternano, tracimano, magari cozzano per incongruenza, partorite dalle teste
degli uomini forti e fidati del generale-presidente. Il confronto più arduo si
gioca col suo pensatoio composto da think tank e intellettuali ossequiosi. Tutti
stretti attorno a un rilanciato orgoglio nazionale, in lotta contro il nemico
interno della Fratellanza Musulmana e contro chi vuole insidiare la Patria:
giornalisti, comunicatori, studiosi accomunati nel losco piano di screditare il
nuovo corso insediato dalla “rivoluzione” del 2013. Lo sostiene, in un articolo
comparso sul settimanale Al-Ahram,
Yassin El-Ayouty, docente di Diritto alla New York University. Il professore si
scaglia contro un precedente pezzo del New
York Times possibilista su un’ipotesi di boicottaggio economico al governo
del Cairo, per le reiterate gravissime violazioni dei diritti umani. E risponde
indignato all’affermazione: “I militari
egiziani hanno preso il potere con un golpe”.
La
considera un’intollerabile ingerenza, rammenta come il 3 luglio 2013 (data
dell’arresto del presidente Morsi) l’allora ministro della difesa Al Sisi
rispose “alla chiamata di 35 milioni di
manifestanti” dando seguito a una road map concordata con le forze civili e
la Chiesa copta. L’accordo effettivamente ci fu, ma le vicende non andarono
secondo la versione di comodo sciorinata nell’articolo (http://weekly.ahram.org.eg). Noi l’abbiamo raccontato negli anni scorsi, potremo
tornarci. Interessante è cogliere il cammino del prof, impegnato un po’ a
manipolare i fatti, per altro a esprimere personali valutazioni col fine di
sotterrare il ricordo del golpe di Al Sisi, inizialmente bianco che diventerà
rossissimo del sangue di centinaia di militanti islamici. El-Ayouty sorvola su quel
che non serve alla sua causa: l’arresto d’un presidente eletto, la repressione
di decine di migliaia di egiziani accampati per protesta davanti la moschea di
Rabaa, schernendo ciò che definisce il “mito della legittimità”. Più
precisamente di costoro afferma che per amore di Allah cercarono la morte, praticando
quello che si può definire un “suicidio
da poliziotto” (sic). Insomma incitarono i propri assassini ad aprire il
fuoco. In tal modo il pensatore del presidente pacifica la mattanza, avvenuta
in un giorno e una notte, di oltre mille attivisti (per la Fratellanza
duemila).
Il
prof vola diretto al giugno 2014 quando il voto (dato dal 35% degli elettori)
ratifica la presidenza del generale secondo quel che definisce un “ordinario trasferimento di potere”. Tralasciamo
certe amenità sulla guida dittatoriale della Confraternita, magari ci sarebbe
stata, forse non ne hanno avuto il tempo, ma i famelici Fratelli sono accusati
di quello che altrove si chiama spoil system (chi vince piazza i suoi uomini al
comando). Seppure per la riscrittura della Carta costituzionale le chiamate
alla cooperazione rivolte a tutti i partiti, laici in testa, furono da costoro boicottate
sia prima sia dopo l’elezione del presidente islamista. Il pezzo giunge quindi
allo scottante tema dei diritti umani, e partono le frecciate agli Stati Uniti
che potrebbero dirigersi verso chiunque, noi siamo in prima fila per
l’uccisione di Regeni. “La questione dei
diritti umani è una faccenda interna” nessuno ha il diritto d’interferire.
L’approccio americano è imperialista e una nazione orgogliosa come l’Egitto ha
il dovere di respingerlo. Accantonando l’aplomb accademico il docente suggerisce
allo storico quotidiano della East-coast di mettere “il culo fuori” dalle faccende egiziane. La via democratica intrapresa
al Cairo non ha bisogno di valutatori, ogni monitoraggio è la più odiosa forma
d’intervento negli affari di casa. L’avvertimento Oltreoceano ovviamente varca
il Mediterraneo.
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