Dopo mille giorni di repressione cieca e due
anni e mezzo di regime-Sisi l’Egitto delle bombe appare come un’intoccabile
realtà. Stamane è tornato a colpire facendo brillare una dozzina di chili di tritolo
nell’area dell’antica cattedrale copta di San Marco, zona Al Abasya. La
deflagrazione ha massacrato corpi di donne e bambini (venticinque sono finora
le vittime) che assistevano a una funzione religiosa nell’attigua chiesa di San
Pietro e Paolo. Chi colloca gli ordigni? Certamente dei nemici del
generale-presidente: jihadisti della prim’ora che dal golpe bianco del luglio
2013 hanno iniziato a muoversi principalmente nelle aree desertiche del Sinai,
dove colpiscono duramente i militari (centinaia sono i soldati uccisi) e
seminano terrore e morte nei centri urbani. Gli attentati al quartier generale
della polizia al Cairo e successivamente a Mansoura furono i primi ad apparire
fra novembre e dicembre 2013. Da allora agguati e stragi non si sono fermate. Nel
Sinai, difficilmente controllabile, i salafiti votati al jihadismo, sono logisticamente
aiutati da carovanieri e trafficanti di varie famiglie beduine, che però i
generali non hanno fatto arrestare in massa come gli oppositori anche perché
quei mercanti non fanno politica. Tutt’al più praticano affari coi combattenti
di Ansar Al Maqdis, vicina un tempo a Qaeda e dal 2014 all’Isis con la sigla di
Wilayat Sinai. Ma nelle caotiche vie della capitale, dove le centinaia d’illegalità
mercantili e di vita fanno prosperare gli informatori del mukhabarat come l’Abdallah del caso Regeni, egualmente i miliziani
delle bombe agiscono indisturbati e non ci meraviglieremo se, fra un’omertà e
l’altra della burocrazia e degli apparati, venissero alla luce infiltrazioni o
connivenze.
Certo, la chiusura degli spazi pubblici della
politica ha sicuramente condotto giovani attivisti dell’Islam della Fratellanza
anche verso posizioni terroristiche; taluni addirittura a intrecciare rapporti
coi salafiti, ben poco amati per il loro sprezzante settarismo. Ma la realtà
che ha messo a nudo l’incapacità del regime di stroncare questo fenomeno,
torchiando esclusivamente le organizzazioni palesi della politica, impedendo loro
di riunirsi e addirittura esprimersi, sta diventando un boomerang per la lobby
militare che sorregge Sisi. L’odio degli egiziani amanti dell’ordine,
dell’affarismo d’ogni sponda, meglio se occidentale, che comprende alcuni
tycoon della stessa copiosa minoranza copta, inizia a disdegnare la presunta
protezione presidenziale. Anzi dice apertamente, come hanno fatto stamane
numerosi fedeli della chiesa cristiana d’Egitto, che il piano Sisi è fallito.
Non solo nei riguardi della propria incolumità, ma verso l’intera nazione. Dai
giorni dello scandaloso omicidio Regeni, Sisi, Ghaffar, Shoukry e altri
potentati non dormono sonni tranquilli. Non certo per l’azione compiuta da
politici come l’ex ministro degli esteri Gentiloni, oggi incaricato di formare
un nuovo governo italiano. Indegnamente diciamo noi, vista la nullità delle sue
azioni in quell’affaire che sfiora la connivenza. Sisi dovrà temere l’Egitto
che l’aveva sostenuto per arginare l’avanzata degli islamisti e che ora paventa
di crepare in una deflagrazione o di finire colpito a morte nelle sparatorie se
non anti proteste, magari anti guerriglia. Sparatorie che uccidono più civili
che miliziani. Tutto ciò tacendo quanto d’irrisolto economia e finanza palesano
da oltre un anno. Promesse non mantenute, per le quali un presidente, comunque
votato, come Mursi venne messo alla berlina dopo undici mesi. Sì, l’aria per
Sisi diventa pesante.
Nessun commento:
Posta un commento