Il capo della delegazione
palestinese, giunta ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, denuncia che i sei
atleti del gruppo non hanno con loro le divise. Gliele ha bloccate la polizia di
frontiera israeliana, assieme alla bandiera che proprio non deve apparire
neppure nell’attimo della sfilata, in quell’incedere gioioso che di per sé è
momento di gloria. Eppure la gloria per Mary al-Atrash e Ahmed Jibril sarà
tuffarsi nei rispettivi 50 e 200 metri stile libero. Loro che si allenano vicino
Bethlehem, e sentirlo è già un miracolo,
visto che sull’acqua nei Territori Occupati si pratica una delle mille imposizioni
dell’apartheid con cui Israele governa,
decidendo quello che il palestinese medio può fare.
Il palestinese che
non è prigioniero, né fino a quel momento ricercato, ma su cui egualmente pesa
il controllo della sicurezza dei check point con cui devono misurarsi
quotidianamente gli scolari e i pendolari, i vecchi e gli stessi rappresentanti
politici quando si muovono. Gli altri quattro sportivi si chiamano: Simon
Yacoub, pronto per il tatami del judo, Mohammed Abu Khoussa per la pista
d’atletica. Christian Zimmermann impegnato nel dressage e Mayada Sayyad nella
più classica delle gare: la maratona. La loro presenza è un simbolo, serve al
Cio e alla Comunità Internazionale per lavarsi la coscienza e mostrare come
dagli angoli e dalle situazioni più difficili del mondo, giungono egualmente
individui impegnati in un confronto che appare pacificato.
Eppure proprio
quest’episodio sottolinea gli ostracismi, le beghe, la volontà d’umiliazione
che Israele non tralascia neppure in simili circostanze. Impedire ai sei
palestinesi di vestire la divisa nazionale ha l’intento nient’affatto celato di
affermare che quel gruppo non esiste, come non esiste la popolazione che
rappresenta. E’ la logica del disprezzo con cui si pensa di umiliare quei
giovani mostrandoli diversi dagli altri atleti del mondo. Forse nei quattro
giorni che ci separano dall’evento il Cio, o chi per lui, smonterà l’ottusità
delle guardie del Ben Gurion trovando le tute giuste e la stoffa dello
stendardo che, comunque, sventola in tanti dei 205 Paesi da cui provengono le
delegazioni olimpiche.
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