La cronaca, specie se nera, corregge la disattenzione dei media, casuale o voluta, sebbene di taluni crimini si parli, di altri meno, di certi per nulla. Nella recente storia sociopolitica dell’Egitto, paese amico dell’Italia specie nel business, sui massacri lì perpetrati dall’esercito all’epoca della rivolta di Tahrir, si scrisse e si discusse parecchio. Lo fecero testate grandi e minute, attente all’attualità delle ‘Primavere arabe’, con la professionalità e la coscienza che distingue talune più di altre. In differenti periodi, tre e due anni addietro, quest’attenzione s’è molto attenuata, pur davanti ad accadimenti inquietanti. Magari si citavano attentati e raid dell’Isis che insanguinano anche quell’orizzonte, ma si stentava a raccontare lo stillicidio repressivo, preambolo e conseguenza della salita al potere del generale-golpista. Anche lui figlio dell’apparato militare che è, dall’epoca post coloniale, il vero padrone d’Egitto ben oltre monarchie o repubbliche.
Da cinque giorni l’attenzione dell’intero sistema massmediologico italiano è rivolto alla tragica fine del ricercatore assassinato al Cairo. Ogni organo racconta di Giulio Regeni, ricordandone l’impegno profuso, pur fra non poche difficoltà, nel divulgare notizie raccolte in quegli strati della popolazione egiziana che difendono diritti politici e contrattuali ormai a rischio della propria vita. Al giornalista Regeni quest’impegno è a sua volta costato la vita, messa a repentaglio proprio dagli argomenti trattati, dai luoghi frequentati, dagli incontri avuti con attivisti e sindacalisti, e finanche semplici lavoratori. Questo è l’Egitto di al-Fattah al-Sisi. Quale nostro giornale, grande o piccino, avrebbe pubblicato gli articoli di Giulio? Giriamo la domanda ai mega Direttori delle grandi testate che oggi discettano sulla sua tragica fine, avendo a lungo ignorato quella di altri coetanei di Regeni, acculturati come lui o meno di lui, ma certamente assetati di giustizia.
La giustizia che manca all’attuale Egitto, per ragioni e decisioni interne ed esterne ai Palazzi del Cairo. Ottimi analisti ricordano il ruolo che il Paese e il suo conducator, stanno giocando (o dicono di poter giocare) sullo scacchiere mediorientale e su quello mondiale riguardo alla lotta contro il terrore dell’Isis. Tutto ciò non fa una grinza e si scrive pure. Con frequenza periodica, di concerto con news su: investimenti prossimi venturi, quelli dell’Eni per il giacimento Zohr e gli affari di Intesa, Italcementi, Tecnimont e via andare per 5 miliardi di euro; sugli investimenti già in corso d’opera in fatto d’armamenti (gli ultimi sono francesi coi caccia Rafales) in una fase in cui le riserve interne sono dimezzate rispetto ai 30 miliardi di dollari che Mubarak gestiva quando Tahrir iniziava a infiammarsi. Riguardo a opere faraoniche come il raddoppio di Suez si spendono i petrodollari delle petromonarchie, per ora 20 miliardi, che possono tranquillamente aumentare visto che fondi di casa Saud superano i 700 miliardi. Per ottenere questo Sisi deve proseguire il ruolo di spietato cane da guardia contro ogni pericolo sovversivo.
E oggi sovversiva è l’informazione, se straniera, com’era Regeni, peggio. Lo dicevamo, lo scriveva innanzitutto lui, su Il Manifesto che gli pubblicava solo postumo (forse per disaccordi economici più che editoriali, ma questa è un’altra storia e un’altra brutta pagina del nostro giornalismo) un interessante pezzo sul sindacalismo. Quel resoconto dai luoghi e coi cairoti che il ricercatore-giornalista frequentava rappresenta il motivo per cui il ‘sistema Sisi’ s’è liberato della sua voglia di sapere e divulgare. Come fa da mesi con tanti egiziani. Mentre la stampa nostrana viene svegliata dall’atroce delitto e, vivaddio, ne parla c’è chi (L’Huffington post tricolore) più che soffermarsi sull’establishment che nella sua interezza fa fuori oppositori e ficcanaso della penna, cerca presunte devianze in seno ai Mukhabarat, che se pure ci fossero, non farebbero sconti ai Regeni di turno, come grida una blogger il cui fratello è da mesi in galera: “Chi racconta l’Egitto è in pericolo!”
Invece Lucia Annunziata, nella rubrica su Raitre In mezz’ora, è tutta presa a esaltare, assieme all’ospite e collega Purgatori, il ruolo della diplomazia italiana al Cairo, sostenendo che grazie a essa (e a Sisi) il cadavere del ricercatore sia stato trovato. Nella minimizzazione d’una tragica realtà che coinvolge la famiglia Regeni, ma anche il popolo egiziano, compresi i sostenitori d’un sanguinario dittatore, alcuni professionisti dell’informazione nostrana si crogiolano sui particolari. Diffondono salamelecchi all’ambasciatore per ossequiare Farnesina e Palazzo Chigi, e non solo; spargono falsità sulla presidenza Morsi, che accaparrava posti e zoppicava nella gestione ma non sterminava affatto i suoi oppositori (l’altro ospite, il buon Acconcia, cercava di precisare inascoltato). I contorni sono quelli dell’ennesima occasione perduta, in quello che poteva essere un risveglio d’informazione, tardivo ma utile. Ma si sa, come insegna il Manzoni “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. E c’è chi nasce Regeni, e muore anzitempo, chi Annunziata e si garantisce l’eternità radiotelevisiva.
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