Pensano sia un marchio infamante, come la stella
cucita sui vestiti, fuori e dentro i lager. La considerano l’ennesima forma di
antisemitismo che si palesa nell’infangare sempre e comunque il nome d’Israele.
E’ la reazione diffusa alla tracciabilità che i regolamenti dell’Unione Europea
impongono ai prodotti provenienti dai Territori Occupati (comprese le alture
del Golan) un’etichettatura adeguata, che indichi precisamente la località.
Reazione non dei coloni estremisti, ma dell’intera classe politica e di tanta
società israeliana, che ha fatto delle colonie il cavallo di Troia per aggirare
anche quello straccio di accordi al ribasso firmati a Oslo che sancirono la
nascita della Cisgiordania. Su questi territori, che tanta politica interna e
internazionale vuole bantustan, produttori e commercianti israeliani realizzano
e impacchettano merci diffuse sul mercato mondiale. Una percentuale comunque piccola,
che rappresenta lo 0,5% degli scambi con l’Unione Europea per un totale di 155
milioni di euro, stando alle cifre dello scorso anno. Un’inezia per quella che Benyamin
Netanyahu definisce “un’economia forte”
eppure infastidisce a tal punto che il premier israeliano ha tuonato
perentorio: “La Ue deve vergognarsi”.
Aggiungendo: “L’iniziativa riguarda solo Israele, mentre ci sono almeno duecento aree
disputate nel mondo”. Alla Ue rispondono che gli obblighi non sono nuovi,
praticano un adeguamento diffuso nei 28 Paesi dell’Unione. Da parte sua l’Olp
s’è dichiarata soddisfatta del passo considerandolo positivo “per possibili sanzioni contro i prodotti
nelle colonie”. Invece la reazione israeliana è durissima anche su questo
terreno e dal ministero degli esteri di Tel Aviv parte l’affermazione “nessuna etichettatura farà avanzare il
processo di pace”. Il nervosismo dell’establishment israeliano mostra
quanto la vicenda, che per ora costituisce una controversia simbolica più che
sostanziale, possa infastidire su due sfere. Sicuramente
l’idealogico-propagandistica, ma non è sottovalutabile anche quella mercantile
che col tempo potrebbe ricevere incrinature da una presa di posizione di governi
dei vari Stati e pure dei singoli consumatori. Una delle iniziative
internazionali dell’attivismo pro palestinese più temute è conosciuta con
l’acronimo BDS: boicottaggio, disinvestimento, sanzioni verso le pratiche
israeliane nei Territori Occupati. Ora sugli scaffali dei supermarket certa
merce può diventare più individuabile e sancire il rifiuto verso un’economia
dell’occupazione.
Nessun commento:
Posta un commento