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giovedì 12 novembre 2015

La tracciabilità Ue delle merci fa infuriare Israele


Pensano sia un marchio infamante, come la stella cucita sui vestiti, fuori e dentro i lager. La considerano l’ennesima forma di antisemitismo che si palesa nell’infangare sempre e comunque il nome d’Israele. E’ la reazione diffusa alla tracciabilità che i regolamenti dell’Unione Europea impongono ai prodotti provenienti dai Territori Occupati (comprese le alture del Golan) un’etichettatura adeguata, che indichi precisamente la località. Reazione non dei coloni estremisti, ma dell’intera classe politica e di tanta società israeliana, che ha fatto delle colonie il cavallo di Troia per aggirare anche quello straccio di accordi al ribasso firmati a Oslo che sancirono la nascita della Cisgiordania. Su questi territori, che tanta politica interna e internazionale vuole bantustan, produttori e commercianti israeliani realizzano e impacchettano merci diffuse sul mercato mondiale. Una percentuale comunque piccola, che rappresenta lo 0,5% degli scambi con l’Unione Europea per un totale di 155 milioni di euro, stando alle cifre dello scorso anno. Un’inezia per quella che Benyamin Netanyahu definisce “un’economia forte” eppure infastidisce a tal punto che il premier israeliano ha tuonato perentorio: “La Ue deve vergognarsi”.
Aggiungendo: “L’iniziativa riguarda solo Israele, mentre ci sono almeno duecento aree disputate nel mondo”. Alla Ue rispondono che gli obblighi non sono nuovi, praticano un adeguamento diffuso nei 28 Paesi dell’Unione. Da parte sua l’Olp s’è dichiarata soddisfatta del passo considerandolo positivo “per possibili sanzioni contro i prodotti nelle colonie”. Invece la reazione israeliana è durissima anche su questo terreno e dal ministero degli esteri di Tel Aviv parte l’affermazione “nessuna etichettatura farà avanzare il processo di pace”. Il nervosismo dell’establishment israeliano mostra quanto la vicenda, che per ora costituisce una controversia simbolica più che sostanziale, possa infastidire su due sfere. Sicuramente l’idealogico-propagandistica, ma non è sottovalutabile anche quella mercantile che col tempo potrebbe ricevere incrinature da una presa di posizione di governi dei vari Stati e pure dei singoli consumatori. Una delle iniziative internazionali dell’attivismo pro palestinese più temute è conosciuta con l’acronimo BDS: boicottaggio, disinvestimento, sanzioni verso le pratiche israeliane nei Territori Occupati. Ora sugli scaffali dei supermarket certa merce può diventare più individuabile e sancire il rifiuto verso un’economia dell’occupazione.


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