venerdì 13 novembre 2015

Sinjar, la battaglia della riconquista



Yazidi all’attacco per riprendersi la propria città. Non da soli, li coadiuvano guerriglieri peshmerga e soprattutto i raid aerei dell’aviazione statunitense che bombardano le postazioni dell’Isis. Sinjar, che si trova sotto un’arida montagna dalla stessa denominazione, è da stamane sotto il controllo delle forze anti Isis. La località rappresenta un importante snodo viario per le geometrie strategiche dei miliziani islamici, perché con l’autostrada 47 mette in collegamento quella che è considerata dal capitale del Califfato, Raqqa, con la città di Mosul.  Sedici mesi fa i fondamentalisti nello sferrare l’offensiva a Sinjar avevano usato ogni tattica mirata a far terra bruciata, uccidendo uomini, stuprando e catturando donne da inserire nel proprio mercato del sesso, allontanando con estrema violenza la popolazione dalla località così da non avere intralci per un disegno geostrategico di cancellare il confine fra Siria e Kurdistan iracheno. E creare lo spostamento indisturbato di armi, uomini e merci fra i fronti orientale e occidentale.


Secondo dati forniti dal Washington Post, che riporta note diffuse dal Dipartimento della difesa americano, a Sinjar ci sarebbero almeno 400 jihadisti dotati anche di armi pesanti; altrettanti sono i volontari yazidi inquadrati nei copiosi battaglioni peshmerga (oltre settemila unità) desiderosi di prendersi una rivincita sulla disfatta dell’agosto 2014 che aprì le porte ai sogni di Al Baghdadi di creare concretamente uno Stato Islamico, occupando e controllando un territorio. Nei mesi scorsi quella parte della popolazione yazida che non è riparata nei campi profughi turchi, o finita sui canotti della migrazione disperata verso le isole del Dodecaneso, s’era rifugiata nell’area montuosa che sovrasta la città, rischiando fame e stenti, prima d’essere raggiunta dai guerriglieri kurdo-iracheni. Ora spera in un ritorno stabile nel territorio d’origine. L’avanzata dei peshmerga è stata rapida, ma prende precauzioni soprattutto contro attentati di kamikaze. 


Un’arma che il Daesh ha iniziato a usare diffusamente, come dimostrano le stragi di Suruç, forse quella di Ankara, e sicuramente le deflagrazioni di ieri sera nella cintura sciita di Beirut (Burj el-Barajneh) che hanno fatto 43 vittime e 180 feriti. Un massacro diretto contro il ruolo di Hezbollah e mirante ad aprire un nuovo fronte verso il Libano, già investito da schermaglie di fuoco nella valle della Beqa.  Secondo note di fonte militare Nato diffuse dalla Cnn l’offensiva su Sinjar rappresenterebbe il prodromo di un’operazione a più ampio spettro che, dopo bombardamenti, giungerebbe a un copioso intervento di terra. Non si svela, però, di quale nazionalità sarebbero le truppe impegnate, visto che l’attuale conflitto nella zona è sostenuto esclusivamente dalla guerriglia kurdo-irachena. Lì quella che fa capo a Barzani (Kdp) e a Talabani (Puk), nell’area del Rojava dai combattenti diretti dal Partito dell’Unione Democratica.

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