Yazidi all’attacco per riprendersi la propria
città. Non da soli, li coadiuvano guerriglieri peshmerga e soprattutto i raid
aerei dell’aviazione statunitense che bombardano le postazioni dell’Isis.
Sinjar, che si trova sotto un’arida montagna dalla stessa denominazione, è da
stamane sotto il controllo delle forze anti Isis. La località rappresenta un
importante snodo viario per le geometrie strategiche dei miliziani islamici,
perché con l’autostrada 47 mette in collegamento quella che è considerata dal
capitale del Califfato, Raqqa, con la città di Mosul. Sedici mesi fa i fondamentalisti nello
sferrare l’offensiva a Sinjar avevano usato ogni tattica mirata a far terra
bruciata, uccidendo uomini, stuprando e catturando donne da inserire nel
proprio mercato del sesso, allontanando con estrema violenza la popolazione
dalla località così da non avere intralci per un disegno geostrategico di
cancellare il confine fra Siria e Kurdistan iracheno. E creare lo spostamento
indisturbato di armi, uomini e merci fra i fronti orientale e occidentale.
Secondo dati forniti dal Washington Post, che riporta note diffuse dal Dipartimento della
difesa americano, a Sinjar ci sarebbero almeno 400 jihadisti dotati anche di
armi pesanti; altrettanti sono i volontari yazidi inquadrati nei copiosi
battaglioni peshmerga (oltre settemila unità) desiderosi di prendersi una
rivincita sulla disfatta dell’agosto 2014 che aprì le porte ai sogni di Al
Baghdadi di creare concretamente uno Stato Islamico, occupando e controllando
un territorio. Nei mesi scorsi quella parte della popolazione yazida che non è
riparata nei campi profughi turchi, o finita sui canotti della migrazione
disperata verso le isole del Dodecaneso, s’era rifugiata nell’area montuosa che
sovrasta la città, rischiando fame e stenti, prima d’essere raggiunta dai
guerriglieri kurdo-iracheni. Ora spera in un ritorno stabile nel territorio
d’origine. L’avanzata dei peshmerga è stata rapida, ma prende precauzioni soprattutto
contro attentati di kamikaze.
Un’arma che il Daesh ha iniziato a usare
diffusamente, come dimostrano le stragi di Suruç, forse quella di Ankara, e sicuramente
le deflagrazioni di ieri sera nella cintura sciita di Beirut (Burj el-Barajneh)
che hanno fatto 43 vittime e 180 feriti. Un massacro diretto contro il ruolo di
Hezbollah e mirante ad aprire un nuovo fronte verso il Libano, già investito da
schermaglie di fuoco nella valle della Beqa.
Secondo note di fonte militare Nato diffuse dalla Cnn l’offensiva su Sinjar rappresenterebbe il prodromo di
un’operazione a più ampio spettro che, dopo bombardamenti, giungerebbe a un
copioso intervento di terra. Non si svela, però, di quale nazionalità sarebbero
le truppe impegnate, visto che l’attuale conflitto nella zona è sostenuto
esclusivamente dalla guerriglia kurdo-irachena. Lì quella che fa capo a
Barzani (Kdp) e a Talabani (Puk), nell’area del Rojava dai combattenti diretti dal Partito dell’Unione
Democratica.
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