Tutte a casa, dice il sindaco, che
poi è un incaricato pro tempore, un facente funzioni. Così oggi a Kabul circa
mille dipendenti pubbliche non hanno potuto varcare l’ingresso dei posti
occupati fino al giorno precedente. Era nell’aria, sebbene Hamdullah Nomany, il
sindaco ad interim della capitale afghana, abbia dichiarato che si tratta d’una
situazione transitoria mentre s’attende un ennesimo provvedimento. Ma i taliban
hanno disposto così e lui applica le direttive. Le lavoratrici non sono state
sostituite nelle loro funzioni da personale maschile e, nonostante il fermo,
continueranno a ricevere lo stipendio. Però alcune attiviste presenti stamane
davanti all’ex ministero degli “Affari Femminili” ora ministero per il “Rispetto
della Virtù”, che protestavano contro la ‘metamorfosi’ del dicastero e contro il
nuovo orientamento decisamente penalizzante per i diritti al femminile
scuotevano la testa. Non certo per pessimismo precostituito. Da giorni il
governo degli studenti coranici gira intorno alla questione del lavoro per le
donne, affermando di volerlo orientare e preservare. Di fatto questo fermo potrebbe
rappresentare il primo passo verso il temuto divieto. Che segue il
provvedimento restrittivo registrato nella giornata di ieri per le allieve di
scuole primarie, medie e secondarie: l’avvìo dell’anno scolastico è stato
consentito solo alle classi maschili, a conferma del doppio binario usato dai
turbanti dal giorno della prima conferenza stampa d’agosto. Il nucleo di donne
schierate davanti al ministero armate di cartelli, denunciava questo stato di
cose, oltre a contestare l’assenza di figure femminili nel governo dei soli
talebani maschi. Un’attivista intervistata da Tolo tv, ammessa in questa circostanza ad effettuare riprese video,
sosteneva che “il ministero degli Affari
Femminili rappresentava un’identità di genere, la sua cancellazione ha l’amaro
sapore d’una rimozione delle donne dalla società”. E ancora “le donne che perdono il lavoro non possono
aiutare economicamente i loro congiunti. E vivono il dramma d’un impoverimento familiare”.
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