Si chiamano Altan, come il vignettista friulano
da noi famosissimo per quella satira più che tagliente che ha preso il posto
degli iniziali fumetti per bambini. Gli Altan turchi sono il giornalista Ahmet
e il fratello Mehmet, economista e accademico che come migliaia di altri
concittadini sono finiti in manette. L’arresto è avvenuto ieri, l’accusa è la
stessa che da due mesi rimpingua le galere turche: sostenere a vari livelli il
movimento gülenista accusato d’aver orchestrato il tentato golpe di metà luglio.
Una repressione che finora ha fatto incarcerare decine di migliaia di persone
(anche le Ong che s’occupano di diritti civili non riescono a tenere un conto
aggiornato di fermi e arresti). Più precise le note sulle imposizioni del
decreto sulla sicurezza che nei primi cinque giorni seguenti al fermo impedisce
ai legali degli arrestati di parlare coi propri clienti, ricevere dettagliate
informazioni sulle loro imputazioni e sul luogo di detenzione. Inquietanti i
numeri del mega bavaglio che da chiude la bocca a: 102 media (di cui 45
giornali), 16 canali televisivi, 23 radio, 15 magazine, 29 case editrici, 3
agenzie stampa. Per un totale di 2.300 fra giornalisti e lavoratori della
comunicazione arrestati, licenziati, rimossi.
I fratelli Altan erano già nell’occhio repressivo
del governo, tacciati com’erano d’aver prospettato la possibilità d’un colpo di
mano militare, in un’intervista televisiva andata in onda proprio alla vigilia
del tentato golpe. I giudici indagano attorno a possibili coincidenze o all’ipotesi
d’una sorta di rivelazione d’un piano. Gli avvocati dei due sostengono si
tratti dell’ennesima montatura e persecuzione. Intanto da giorni è pubblico
l’appello lanciato da premi Nobel (in testa Pamuk), accademici, scrittori,
intellettuali per la liberazione della scrittrice Aslı
Erdoğan colpita, nonostante la notorietà che le viene dal ruolo di romanziera,
per aver trattato questioni di diritti umani su due giornali che hanno subìto i
colpi della censura di regime: la testata di sinistra Radikal e quella in kurdo Ozgür
Güntem. Dove pubblicava regolarmente interventi e riflessioni, che comunque
apparivano anche sulla stampa internazionale da Le Monde a Frankfurter Allgemerine
Zeitung. Ma
l’odierna Turchia è diventata un mondo a parte. Chiudendo l’organo di stampa in
lingua kurda, il 16 e 17 agosto scorsi i poliziotti sono andati a bussare anche
nell’abitazione della scrittrice, che in altri periodi era riparata all’estero
per l’aria non certo amichevole con cui veniva trattata in patria.
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