Se lo
son portati via due poliziotti con le buone, Abdulhamit Bilici direttore di Zaman, diventato nell’ultimo anno il
maggior giornale d’opposizione turco in virtù delle sue 650.000 copie di
tiratura. Un’opposizione tutta interna all’Islam politico che da tempo si
scontra con quello erdoğaniano ed è animato dall’ex amico Gülen, l’imam migrato
negli States e finanziatore del movimento Hizmet. Il piano repressivo continua,
invece, a essere cattivissimo e s’è scagliato stavolta contro il quotidiano Zaman. Come aveva fatto con un altro
giornalista gülenista, Hekrem Dumanli (arrestato due anni fa), e contro Dündar
e Gül, i responsabili di Cumhuriyet,
incarcerati nell’ottobre scorso e recentemente rilasciati per un intervento
della Corte Costituzionale. La censura dell’informazione turca è un progetto in
atto da un triennio, seppure le mosse degli ultimi tempi più che cancellare
testate mirano, attraverso sentenze di sezioni giudiziarie amiche (una è 6^
Corte Criminale di Istanbul), a svilirle accusandole di trame antistatali. Poi
interviene la politica a trasformarle.
Un
“uno-due” che mette alla porta direttori e reporter scomodi e li sostituisce
con plotoncini di servizievoli propagandisti e pennivendoli. Era accaduto nel
gruppo Koza-İpek con le emittenti Bugün-tv
e Kanaltürk. Accade con l’editoriale
Feza che, dopo il blitz poliziesco e repulisti del fine settimana, apre il
nuovo corso con sperticate lode al presidente innovatore della grande Turchia
che a Istanbul visita i cantieri del terzo ponte sul Bosforo. Definirla
informazione di regime è un eufemismo. Non una parola sulla manifestazione di
protesta che, in un altro punto della città, ha riunito sotto la sede del
giornale un centinaio di persone indignate per il colpo di mano giudiziario-governativo.
Tutte gasate, manganellate, ferite e disperse dagli agenti antisommossa. Il
team di Bilici licenziato è accusato di “complotto contro le istituzioni e il
presidente” e dovrà comparire davanti ai pubblici ministeri. Frattanto il sito
web bilingue (turco-inglese) di Zaman
è oscurato, nella stessa redazione l’accesso a Internet è bloccato e gli
articoli vengono confezionati da fedelissimi dell’entourage governativo che
impaginano veline giunte dai Palazzi di Ankara. Il nuovo schiaffo alla libertà
d’espressione è stato criticato all’interno e all’estero.
Le battaglie
giudiziarie in atto nella stessa famiglia allargata dell’Islam turco vedono muoversi
settori della magistratura e dell’Alta Magistratura pro e contro gli attori sul
campo. La citata 6^ Corte Criminale di Istanbul è quella che impediva la
scarcerazione della coppia dei referenti di Cumhuriyet,
che aveva incastrato il presidente con lo scoop del traffico di armi verso la
Siria a favore dei miliziani jihadisti. Un ulteriore smacco dopo le rivelazioni
dei gülenisti sui meccanismi corruttivi dell’ex premier. La sentenza della
Corte Costituzionale favorevole ai giornalisti di Cumhuriyet non è stata digerita da Erdoğan, che secondo il suo
stile ha tuonato e tacciato quella la sentenza d’incostituzionalità (sic).
Qualche opinionista legge l’ennesimo braccio di ferro come una partita interna da
giocare sul campo europeo. La Ue, che ha protestato per la repressione sulla
stampa, discute oggi a Bruxelles col premier Davutoğlu della questione profughi
presenti in Turchia, ormai oltre 2 milioni e mezzo. Il ‘sultano’ pretenderebbe
accanto ai finanziamenti promessi per gestirli (tre miliardi di euro) anche ulteriore carta
bianca sulla libera repressione interna, dai kurdi ai giornalisti. E’ un
rilancio senza rete con cui il primo cittadino turco vuol continuare a dettar
legge dentro e fuori dai propri confini.
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