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domenica 6 marzo 2016

I magistrati pro Erdoğan soffocano gli islamisti

Se lo son portati via due poliziotti con le buone, Abdulhamit Bilici direttore di Zaman, diventato nell’ultimo anno il maggior giornale d’opposizione turco in virtù delle sue 650.000 copie di tiratura. Un’opposizione tutta interna all’Islam politico che da tempo si scontra con quello erdoğaniano ed è animato dall’ex amico Gülen, l’imam migrato negli States e finanziatore del movimento Hizmet. Il piano repressivo continua, invece, a essere cattivissimo e s’è scagliato stavolta contro il quotidiano Zaman. Come aveva fatto con un altro giornalista gülenista, Hekrem Dumanli (arrestato due anni fa), e contro Dündar e Gül, i responsabili di Cumhuriyet, incarcerati nell’ottobre scorso e recentemente rilasciati per un intervento della Corte Costituzionale. La censura dell’informazione turca è un progetto in atto da un triennio, seppure le mosse degli ultimi tempi più che cancellare testate mirano, attraverso sentenze di sezioni giudiziarie amiche (una è 6^ Corte Criminale di Istanbul), a svilirle accusandole di trame antistatali. Poi interviene la politica a trasformarle.
Un “uno-due” che mette alla porta direttori e reporter scomodi e li sostituisce con plotoncini di servizievoli propagandisti e pennivendoli. Era accaduto nel gruppo Koza-İpek con le emittenti Bugün-tv e Kanaltürk. Accade con l’editoriale Feza che, dopo il blitz poliziesco e repulisti del fine settimana, apre il nuovo corso con sperticate lode al presidente innovatore della grande Turchia che a Istanbul visita i cantieri del terzo ponte sul Bosforo. Definirla informazione di regime è un eufemismo. Non una parola sulla manifestazione di protesta che, in un altro punto della città, ha riunito sotto la sede del giornale un centinaio di persone indignate per il colpo di mano giudiziario-governativo. Tutte gasate, manganellate, ferite e disperse dagli agenti antisommossa. Il team di Bilici licenziato è accusato di “complotto contro le istituzioni e il presidente” e dovrà comparire davanti ai pubblici ministeri. Frattanto il sito web bilingue (turco-inglese) di Zaman è oscurato, nella stessa redazione l’accesso a Internet è bloccato e gli articoli vengono confezionati da fedelissimi dell’entourage governativo che impaginano veline giunte dai Palazzi di Ankara. Il nuovo schiaffo alla libertà d’espressione è stato criticato all’interno e all’estero.
Le battaglie giudiziarie in atto nella stessa famiglia allargata dell’Islam turco vedono muoversi settori della magistratura e dell’Alta Magistratura pro e contro gli attori sul campo. La citata 6^ Corte Criminale di Istanbul è quella che impediva la scarcerazione della coppia dei referenti di Cumhuriyet, che aveva incastrato il presidente con lo scoop del traffico di armi verso la Siria a favore dei miliziani jihadisti. Un ulteriore smacco dopo le rivelazioni dei gülenisti sui meccanismi corruttivi dell’ex premier. La sentenza della Corte Costituzionale favorevole ai giornalisti di Cumhuriyet non è stata digerita da Erdoğan, che secondo il suo stile ha tuonato e tacciato quella la sentenza d’incostituzionalità (sic). Qualche opinionista legge l’ennesimo braccio di ferro come una partita interna da giocare sul campo europeo. La Ue, che ha protestato per la repressione sulla stampa, discute oggi a Bruxelles col premier Davutoğlu della questione profughi presenti in Turchia, ormai oltre 2 milioni e mezzo. Il ‘sultano’ pretenderebbe accanto ai finanziamenti promessi per gestirli  (tre miliardi di euro) anche ulteriore carta bianca sulla libera repressione interna, dai kurdi ai giornalisti. E’ un rilancio senza rete con cui il primo cittadino turco vuol continuare a dettar legge dentro e fuori dai propri confini.

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