venerdì 21 novembre 2025

Fuoco kashmiro

 


I figli, il padre, la repressione, l’immolazione. Potrebbe essere la trama d'una pièce teatrale, è una cruda realtà dell’odierno Kashmir. La regione geografica divisa fra India e Pakistan dove nella prima il governo Modi ha sospeso da sei anni l’autonomia gestionale, imponendo ai cittadini, in gran parte di fede islamica, restrizioni e imposizioni politico-amministrative. Più cospicue immissioni coloniali di famiglie hindu. E’ la linea dell’occupazione mascherata che da decenni Israele attua in Cisgiordania colpendo il territorio e i palestinesi che lo abitano. Giorni addietro i reparti speciali della polizia indiana si sono introdotti nell’abitazione della famiglia Bilal, prelevando i giovani Jasir e Nabeel Ahmad. L’accusa: appartenere alla rete ribelle che opponendosi al governo di Delhi s’è resa responsabile dell’attentato nel cuore della capitale indiana e provocato tredici vittime. La colpa dei Bilal sta nell’abitare accanto al dottor Ahmad Rather, sospettato d’aver predisposto l’autobomba deflagrata nei pressi dello storico Forte Rosso.  Wani, il padre dei ragazzi, si dispera. Dopo il loro fermo va dalla polizia, dichiara che i figli non s’occupano di politica, né praticano agguati omicidi. Nessuno l’ascolta, anzi lo minacciano d’arresto se avesse insistito nella protesta. Wani e la sua famiglia sono d’origini umili. Lui è un venditore ambulante di frutta, di quelle mele che crescono rigogliose sul territorio. Però non sa a chi rivolgersi, men che meno agli amici del dottore accusato di terrorismo. Passa alcuni giorni d’angoscia, raccontano i vicini, non mangiava né usciva più, né per lavoro né per commissioni. Finché domenica scorsa Wani si dà fuoco. Lo trasportano d’urgenza all’ospedale di Srinagar, ha il corpo devastato. Le ustioni hanno liquefatto l’80% della cute, il volto è irriconoscibile, i sanitari disperano di salvargli la vita. Infatti dopo un giorno di ricovero il cuore si ferma. Definitivamente. 

 

Una vicenda che, per chi segue la geopolitica dalla parte degli oppressi, ricorda il dramma dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, immolatosi per protesta contro il regime di Ben Ali nel dicembre 2010 e diventato simbolo delle rivolte scoppiate nei mesi seguenti dal Magreb al Mashreq. Il Kashmir s’è ribellato in varie occasioni alle norme accentratrici di Modi, ne sono scaturiti morti di strada e arresti di massa. Attivisti, giornalisti, intellettuali sono incarcerati da anni, tre nomi per tutti: Khurram Parvez, Irfan Mehraj, Shafat Wani per ciascuna delle categorie. Per i due Wani, solo omonimi del citato studioso, difficilmente si creeranno rivendicazione perché il clima repressivo è diventato amplissimo e raffinato. Ormai il Kashmir sta subendo una trasformazione identitaria attraverso l’inserimento nel territorio di famiglie hindu, meglio se fanaticamente hindu come stabilisce la linea politica del partito di maggioranza Bharatiya Janata Party. Una tattica d’inserimento etnico-religioso cui fa seguito la discriminazione programmata dei cittadini musulmani. E quando questo non basta vere persecuzioni per sradicarli rendendogli impossibile la quotidianità. La distruzione delle abitazioni di chi è solo sospettato di ribellione, in tanti casi ingiustamente, è diventata una pratica diffusa. Nell’ultimo quadriennio si sono registrate milleduecento di queste distruzioni denuncia il Legal Forum for Kashmir. Chi perde la casa spesso non può proseguire neppure le povere occupazioni, in genere manuali concesse ai locali islamici, e va via. Certo, fra loro esistono pure professionisti, è il caso del gruppo di medici accusati dalla polizia indiana d’aver organizzato l’attentato di Delhi, ma si tratta d’eccezioni. La polizia sostiene d’aver trovato un’enorme quantità di esplosivo in dotazione ai sanitari membri d’una cellula terrorista. Ma tutto dev’essere provato dalla magistratura. Per ora prosegue la repressione, che colpisce alla cieca inserendo fra i ricercati vicini di casa, com’è accaduto ai fratelli Wali. Per la disperazione e il terribile gesto del loro genitore.   


 

Nessun commento:

Posta un commento