Imran Khan, da un
triennio premier pakistano, nella lista definita ‘Pandora Papers’ - rivelatrice di
fatti e misfatti di politici, imprenditori, manager e vip mondiali allergici al
fisco - non compare affatto. Immacolato, come il salwar kamice che ama sfoggiare in consessi globali per marchiare
appartenenza e tradizione, s’è già impegnato a fare luce sulle responsabilità
di nativi pakistani. Non ha aggiunto che ruotano attorno al suo potere. Dalle rivelazioni del ‘Consorzio internazionale
di giornalisti investigativi’ curatore dell’inchiesta, costoro sono meno d’un
migliaio – settecento per la precisione – che rispetto ai duecentoventi milioni
di cittadini rappresentano un’inezia. Ma quell’inezia muove un’enorme quantità
di denaro, anche pubblico, finito sui conti offshore di due ministri (delle Finanze,
Shaukat Tarin, e Risorse idriche, Moonis Elahi). E di manager, ufficiali d’alto
rango delle Forze Armate, loro familiari, faccendieri e prestanome,
invischiatissimi. Molto occidentalmente il Primo Ministro s’è tenuto fuori da dirette
responsabilità, evitando di sporcarsi la reputazione, ma il suo entourage è
impantanato fino al collo e il celebrato campione di cricket prestato alla
politica potrebbe finire a ramengo, come accadde a Sharif quattro anni or sono.
Il responsabile del dicastero delle Finanze e i suoi parenti posseggono quattro
società offshore. Tarin lo giustifica come parte d’un processo di raccolta
fondi per la sua banca (sic).
Il ministro Elahi, tramite la società di
servizi Asiatici Trust, ha cercato
d’investire 5,6 milioni di dollari provenienti da un presunto scandalo di
prestito a una fiduciaria. L’Asiatici lo
accettò come cliente malgrado i fattori di rischio evidenziati da accertamenti:
il coinvolgimento in un progetto di sviluppo in odore di corruzione nella
popolosa provincia del Punjab. Gli Elahi sono un potente clan. Il padre
dell’attuale ministro era un alleato di ferro di Musharraf, la famiglia è stata
coinvolta in scandali corruttivi multimilionari. Il più noto, tramite la Banca
del Punjab, superava il mezzo miliardo di dollari di prestiti non garantiti
offerti a ignari clienti. I prestiti irrecuperabili vennero coperti con cauzioni
pagate dal governo locale, cioè con proventi pubblici. Secondo lo scavo
compiuto dall’International Consortium Investigative Journalist, anche la
transazione proposta dal ministro Elahi ad Asiaciti
Trust avveniva coi prestiti della Banca del Punjab. Quest’ultima propone a
Elahi un investimento con un agente che avrebbe due proprietà nel Regno Unito e
individua un potenziale investimento in uno zuccherificio. Il ministro ha fatto
marcia indietro solo quando Asiatici
Trust ha dichiarato di voler informare l’autorità delle tasse in merito
alla mediazione, mostrando una registrazione. Già anni addietro la moglie di
Elahi usò una società di comodo per una transazione su un appartamento
londinese, valutato 8,2 milioni di dollari. Il ministro nega gli addebiti
considerandosi vittima di complotti.
Dallo scrigno di Pandora
fuoriescono
riferimenti ad altri sostenitori di peso del premier pakistano. Ne scaturisce
una parentopoli: il figlio dell’ex ministro delle Finanze Masood Khan
(quest’ultimo era iper fedelissimo dell’omonimo leader e suo segretario
particolare), il fratello del ministro dell’Industria Bakhtyar, il precedente
responsabile del dicastero delle Risorse Idriche, Vawda, usano tutti trasferire
denaro su conti coperti, lontani da controlli fiscali. Anche Bakhtyar muove un
milione di dollari attorno ad appartamenti londinesi. Nella lista dei
faccendieri-bancarottieri compaiono il non proprio onorevole banchiere Naqvi,
molto solvente in appoggio alla campagna elettorale 2013 di Khan e accusato da
un procuratore statunitense d’una frode di 400 milioni di dollari. E un altro
finanziatore: Tariq Shafi, beneficiario di 215 milioni di dollari grazie a
compagnìe offshore. Accanto ai borghesi della politica tracimano dal vaso i
volti di uomini in divisa: un alto generale alleatissimo di Musharraf che
grazie alle triangolazioni offshore ha acquistato case per 1,2 milioni di
dollari. Un intoccabile dell’Inter-Service Intelligence – il generale Nusrat
Naeem – che registrava una Società di petrolio e gas e tentava l’acquisto di
un’acciaieria senza avere l’importo richiesto (1,7 milioni di dollari), per poi
vedere archiviata ogni cosa. Fra i pakistani possessori di società offshore non
mancano gli editori (Media Dawn, Express Media Group, Gourmet) che possono spendere capitali e
servizi a favore del premier. La boa di salvataggio di Imran Khan è che in quel
Palazzo lui ci sta di passaggio.
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