“Assurdo e odioso”. Così il presidente iraniano Rohani ha definito
nel proprio intervento alle Nazioni Unite lo sproloquio dell’omologo Trump. La
ferma e decisa risposta con cui ha anche ricordato che le dotazioni
missilistiche del suo esercito hanno funzioni “deterrenti e difensive per il mantenimento della pace regionale, per la
stabilità e la prevenzione da avventure, perché non dimentichiamo i civili di
alcune nostre città diventati bersaglio degli attacchi di Saddam per otto anni
di guerra d’aggressione”, non ha perso il tono diplomatico che caratterizza
la sua linea. Le uniche durezze hanno riguardato “l’entità sionista” bollata
come un furfante che lavora per destabilizzare il Medioriente. E lo staff del
45° presidente statunitense “i nuovi
arrivati della politica che rimettono in discussione un accordo (sul
nucleare, ndr) da prendere come modello
che rende più sicura l’area regionale”. Con l’aggiunta di una battuta sulla
moderazione che “è sinergia delle idee,
non una danza delle spade”. Quindi una chiusura profondamente critica, con
cui Rohani ha lanciato un monito all’intera assise internazionale “Il governo americano dovrebbe spiegare alla
sua gente perché l’uso di miliardi di dollari, beni del popolo statunitense e
della nostra regione, invece di contribuire alla pace e stabilità ha prodotto
solo guerra, miseria, povertà e ascesa di terrorismo ed estremismo”. Per il
resto l’intervento del leader iraniano ha tenuto toni costruttivi e anche
autocelebrativi. Il presidente-mullah ha ricordato come solo pochi mesi fa il
suo popolo gli ha confermato un mandato con grandi numeri di partecipazione (“41 milioni di elettori si sono recati alle
urne, scegliendo la linea della moderazione e del rispetto dei diritti umani”,
la sua linea.
Un percorso che non
rappresenta interessi di parte o personali “ma
un investimento per il nostro popolo”. Il tutto condotto col rispetto per
le persone e la pace (sicuramente
associazioni come Human Rights
Watch o Amnesty International non concorderanno nel merito riguardo alla
pena di morte, ma questo vale anche per altri Paesi, a cominciare da Stati
Uniti e Cina). Poi l’uomo di Teheran ha fatto intendere che non sarà certo la
minaccia di rinnovate sanzioni a bloccare e intimidire il suo Paese. Poiché
quello che già girava ieri, in talune commissioni riunite al Palazzo di Vetro,
era la ricerca della via punitiva. Dopo le scudisciate del capo, Rex Tillerson
tesseva la tela per provare a rendere praticabile la revisione del Joint Comprehensive Plan of Action,
meglio noto come il patto sul nucleare iraniano, sancito da Usa, Gran Bretagna,
Francia, Russia, Cina e Germania. Se Trump aveva tagliato corto parlando
d’azzeramento, la via burocratica con cui si cerca di neutralizzarlo è più
sottile. Il presidente Usa ha tempo sino al 15 ottobre per riferire al
Congresso se l’Iran stia lavorando per mettere in pericolo la ‘sicurezza
statunitense’. Se riuscisse a dimostrarlo e ricevere un assenso, potrebbe
rilanciare verso l’Onu la ridiscussione del patto. Quella che era una promessa elettorale e l’accrediterebbe agli
occhi di elettori e detrattori. “America
first!” per coerenza e fermezza. Sicuramente troverebbe contrarie Russia e
Cina, ma il tignoso Tillerson non demorde.
Per ora consta la
contrarietà dell’Alta rappresentante Eu per la politica estera Mogherini e del
presidente francese Macron, sul quale, si dice, stia preparando un lavoro ai
fianchi sul cavillo non dell’abrogazione bensì di una “revisione dell’accordo”.
A chi lo pressava per novità sulla sua iniziativa, l’ex capo esecutivo della
Exxon entrato nello Studio Ovale dichiarava “In ogni trattativa, prima di constatare la possibilità di realizzare
passi in avanti il quadro si presenta sempre nero. Finora ho visto strette di
mano e nessun urlo” se ne deduce massima fiducia nelle strategie future.
Nelle disposizioni del Jcpoa non c’è
un tema tanto caro a Trump nel recente personale braccio di ferro con rocketman-Kim: l’armamento missilistico.
L’arsenale iraniano e le conseguenti ricerche tecnologiche di Teheran non erano
state limitate proprio perché - come hanno constatato gli osservatori
internazionali, ha sempre sostenuto durante i due anni di colloqui il ministro
degli Esteri Zarif e ieri ha ribadito Rohani - hanno uno scopo unicamente
difensivo. Ma in discorsi sul Medio Oriente in fiamme, di cui il presidente
iraniano ha ricordato nazioni e popoli islamici (in Yemen, Siria, Iraq,
Bahrein, Afghanistan) oggetto di aggressioni, è inevitabile che si entri nel
merito di strumenti di difesa, sebbene l’Iran impegna su certi fronti
soprattutto “consiglieri” dotati di armi leggere. Il filo che il Segretario di
Stato statunitense tende verso gli alleati occidentali per cucire una revisione
degli accordi dei 5+1 è quello dell’ingerenza iraniana nei focolai di crisi.
Ovviamente il pulpito è totalmente screditato per sermoneggiare verso altri, cosa
che Trump e Tillerson sanno benone. Ma loro rilanciano la politica del cow-boy
che spara preventivamente su tutto quel che si muove per sentirsi al sicuro e
giocare col cadavere più che col nemico vivo.
Nessun commento:
Posta un commento