La domenica delle salme
celebrata in Egitto, scegliendo data e simboli precisi: un giorno speciale per
il mondo cristiano che agita le palme della pace e luoghi di culto di una
comunità religiosa di frontiera qual è quella copta, offrono conferme dei nuovi
scenari battuti dall’Isis. Se ne discute da tempo: strappare territori occupati
per due anni dallo Stato Islamico, produce ritorsioni e aperture di nuovi
fronti di guerra. E’ un copione che somiglia ad altre fasi storiche,
sottolineano vari analisti, quello attuato agli inizi del terzo millennio dalla
struttura madre del terrorismo islamico, quel qaedismo che colpiva nei
territori di suo interesse (Medio Oriente) e in casa del nemico occidentale.
Tutto ciò riaccade dall’inizio del 2015 con l’attentato alla redazione del
Charlie Hebdo primo stadio dell’attacco portato al cuore della vita occidentale
che ha avuto, e drammaticamente potrà avere, ulteriori episodi sanguinosi che
ne destabilizzano la quotidianità. Ma la struttura del Daesh attacca e
s’inserisce in ogni terreno fertile per poterne ricavare adesioni e ingigantirne
disorientamento e paura. Dalla Siria, Iraq, Libia, aperti campi di battaglia di
conflitti tuttora irrisolti e difficilmente risolvibili, viste le ingerenze e
gli interessi dei colossi della geopolitica mondiale, s’aggiungono aree dove instabilità
e malcontento risultano cronici e ingigantiti dalle pseudo soluzioni in corso.
Pensiamo all’Afghanistan
dei governi fantoccio introdotti e sostenuti dagli Stati Uniti, e all’Egitto
diviso fra il desiderio di cambiamento che potesse risollevare le condizioni di
disagio e miseria di un’ampia fetta della popolazione e l’incertezza della
soluzione del governo islamico presto affossata dal golpe militare di Sisi. Due
situazioni che nascondono le grandi bugie dei rispettivi establishment
propugnatori d’un processo “democratico” in corso con presunzione di sicurezza
e stabilità. Falsità smentite dagli episodi di cronaca, imposti dagli
oppositori armati, siano essi talebani o jihadisti locali che proseguono
attacchi e attentati, oppure introdotti dal disegno dell’Isis d’inserirsi in ogni
crepa dei regimi con cui l’Occidente continua a controllare certi Paesi. Il
passo verso l’ennesima sicurezza di facciata annunciato dal presidente Sisi coi
tre mesi di stato d’emergenza, che peraltro seguono misure specialissime già in
atto dai mesi successivi alla sanguinosa repressione e persecuzione della
Fratellanza Musulmana, è solo una sceneggiata. Proprio quel sangue e quella
galera hanno fornito una prima manciata di adesioni al jihadismo locale, su cui
il brand del Jihad firmato Isis ha potuto mettere le mani, com’è accaduto nelle
situazioni di conflitto aperto. Probabilmente anche i più estremi teorizzatori
della pratica di morte applicata alla politica, su ogni fronte, considerano il
terrore un’arma con cui soggiogare l’avversario non il fine ultimo.
Sebbene la grande Storia,
anche recente, abbia offerto smentite. Una su tutte: il nazismo. Il Daesh degli
sgozzatori e dei kamikaze deflagratori, è parso appartenere a queste
aberrazioni del pensiero distruttivo ammantato di finalità ideali o religiose. Trova,
però, appiglio nelle mille contraddizioni del panorama geopolitico internazionale,
un sistema che continua a fornire la materia prima per una guerra all’apparenza
insensata. Assurda solo a occhi superficiali o colpevolmente complici oppure
unilaterali nelle valutazioni, alla stregua dei combattenti della ‘guerra
santa’ e dei loro mentori. Perché ciò che accade e continua a succedere attorno
a noi, è una trita ripetizione di scelte inadeguate per un’esistenza condivisa
fra sistemi economici, ceti sociali, etnìe, fedi. Le iniquità, le
marginalizzazioni individuali e collettive rappresentano l’asse portante della
collera con cui pezzi di mondo si scontrano. Le stesse religioni, che tanti
soggetti e comunità riscoprono e indicano come via di comprensione e dialogo,
al di là dei buoni uffici di chi in certe fasi come l’attuale le rappresenta,
non sembrano poter incidere né sulle scelte del fondamentalismo e fanatismo
offerte dalle fedi medesime o da chi si reputa un adeguato esegeta, né sulle
linee strategiche di nazioni e culture ispirate da croci, mezzelune o altro.
Anche questo fenomeno non è nuovo, l’umanità ha attraversato periodi bui con le
guerre di religione. La fase che viviamo lega vuoti ideali, a certezze
radicatissime basate su profitto, sopraffazione, egoismi che fomentano
frustrazioni aggressive più che alternative risolutrici.
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