Indagini - Il governatore
di Diyarbakır Hüseyin Aksoy ha creato un centro di crisi per provare a
comprendere i punti oscuri che costellano l’omicidio di Tahir Elçi, avvocato,
attivista e ideologo d’un percorso che il movimento filo kurdo sta compiendo
almeno da un paio d’anni sul fronte di una diversificazione strategica, che
comprende le scelte compiute dall’Hdp di Demirtaş e pure la linea discorsiva
avviata da Apo Öcalan. Le indagini sulla sparatoria da Far-west avvenuta sotto
il minareto dalle ‘quattro gambe‘ sono in mano a tal Ramazan Solmaz, procuratore
capo della storica città del sud-est che - oltre a visionare filmati di
telecamere a circuito chiuso poste presso il monumento, compiere sopralluoghi dove
sono stati ritrovati bossoli - ha fatto analizzare le armi dei poliziotti in
servizio e partecipanti alla sparatoria stessa. Test balistici saranno
effettuati in un laboratorio specializzato. Vengono prese in considerazione
anche le testimonianze visive (riprese e foto) dei giornalisti presenti alla
conferenza stampa tenuta dall’avvocato poco prima che la tragica bagarre di
fuoco ne provocasse il decesso. In una versione poliziesca, diffusa da agenzie
stampa turche, si dice che il volto d’un aggressore sarebbe stato identificato
come un “terrorista” ed è scattata una retata nei suoi confronti. Posizione che
fa molto comodo alla linea del governo, secondo cui il Paese è sotto attacco e
necessita di misure eccezionali dal punto di vista militare, giuridico,
normativo.
Caos
e/o “Stato profondo” - Però se non si ritrova il proiettile che ha colpito Elçi,
penetrando dalla nuca e fuoriuscendo dal collo, sarà complicato individuare la
provenienza dello sparo e potrà aleggiare il dubbio d’una morte accidentale,
scaturita da un colpo vagante. Sempre secondo versioni diffuse dal ministero
dell’Interno la pistola trovata accanto al cadavere, sarebbe stata utilizzata
per uccidere uno dei due agenti in servizio nel luogo dell’agguato, mentre un
altro ha dichiarato alla stampa che pur avendo sospetti sull’auto bianca da cui
sono scesi due uomini armati, non aveva fatto in tempo a mettere mano all’arma
d’ordinanza. Ma hanno sparato solo quelle? E la magistratura indagherà a tutto
tondo, valutando la presenza d’infiltrati? Risulta, poi, assai strano che nessun
presunto terrorista sia rimasto ucciso o ferito dai moltissimi colpi esplosi
dagli agenti, malgrado la vicinanza dei corpi nell’area in cui si sono svolti i
fatti. Un poliziotto ha sostenuto d’essere stato colto di sorpresa “quando uno degli assalitori ha gettato la
sua pistola su di lui”. Avete compreso bene: gettato. Un altro degli agenti
in borghese, posti a difesa di Elçi e degli attivisti, sostiene di non sapere
se ha colpito il bersaglio “nonostante
(lo si vede anche dai filmati, ndr) i
ripetuti colpi esplosi“. Per la cronaca: tutti i poliziotti coinvolti nel
luttuoso episodio lasceranno Diyarbakır e verranno trasferiti in altre città. Insomma
si rimaterializza lo spettro dei fautori delle maniere forti, gli
immarcescibili uomini dello ‘Stato profondo’, che potrebbero essere rientrati
in azione per colpire gli odiati kurdi anche al di là delle decisioni del
governo, che in questo caso sarebbe stato colto di ‘sorpresa’. La recente
assoluzione donata al generale Termizöz per le accuse rivoltegli in merito alla
sparizione di 21 militanti kurdi, durante la guerra civile strisciante degli
anni Novanta, andrebbe a suffragare l’ipotesi.
Vie
alternative - Ma una simile idea, avanzata da qualche commentatore turco
forse benevolo verso il regime, deve fare i conti con una realtà che da mesi
vede l’Islam politico, indistintamente incarnato dal presidente e dal premier
suo sodale, attaccare a fondo la comunità kurda e l’interessante progetto del
Partito democratico del popolo che aveva spopolato nelle elezioni dello scorso
giugno e contro il quale s’è scatenata la campagna assassina e repressiva, a
suon di attentati, persecuzioni individuali e di gruppo di militanti, reporter,
avvocati, attivisti dei diritti. Sostenuta nella quotidianità dai militanti
dell’Akp, felici di marcare un netto confine con la sinistra turca. Se, com’è
apparso anche nel caso della strategia stragista, nelle vicende interne
l’edoğanismo persegue la medesima ambiguità mostrata sul piano internazionale (complicità
con l’Isis, uso e abuso del suo ruolo nella Nato) si può pensare che il presidente
turco - solo quattro anni addietro integerrimo verso i generali dello ‘Stato
profondo’ - tragga vantaggio da nuove possibili trame. E come il rilancio
elettorale di novembre ha mostrato peschi adesioni per il suo progetto
autoritario nel corpo nazionalista, paramilitare e pro fascista presente in un
pezzo della Turchia. Con ciò il bersaglio individuato nell’avvocato Tahir,
assume un valore di cinico realismo, perché ha voluto eliminare uno dei simboli
delle strategie alternative della politica kurda che sottolinea come i diritti
civili, l’orizzonte culturale, i valori filosofici dell’esistenza e della causa
del proprio popolo e, lo stesso approccio pacifico per conseguirli, possono
rappresentare un progetto fruttuoso. Che risulta temibile, come l’Hdp e la Road
Map öcalaniana.
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