Ricatti incrociati fra Intelligence interne,
quella Nazionale e quella Militare, già in altre fasi in contrasto fra loro,
sarebbero alla base della torbida vicenda che ha prodotto il crudele assassinio
di Giulio Regeni. Lo ribadiscono in un articolo i giornalisti de La Repubblica (Bonini, Foschini,
Tonacci) che hanno trascorso giornate al Cairo, sviluppando un’inchiesta
parallela a quella effettuata a suo tempo dagli inquirenti italiani (lo staff
di Pignatone). Quest’ultimi, per loro stessa ammissione, hanno più volte sottolineato
l’assenza di collaborazione dei colleghi egiziani, lacunosi, omertosi, in linea
con l’atteggiamento governativo di sviare per coprire responsabilità che
restano comunque di Stato. E ammesso che la guerra dei Servizi ci sia, e c’è, e
di conseguenza ci sono i contrasti di giurisdizione nello spionaggio e nel
potere repressivo fra il presidente Al Sisi e gli apparati militari a lui vicini
e sodali, e il ministro dell’Interno Abdel Ghaffar, con la struttura di
Sicurezza Nazionale, ciò che conta al fine della verità mancante è la verità su
un sistema di repressione. Ormai riconosciuto, anzi giustificato, dallo stesso
establishment egiziano per garantire, così sostengono al Cairo, la sicurezza
nazionale, evitando altre Rivoluzioni, filoislamiche oppure laiche.
L’ossessione di contestazioni e proteste dei lavoratori,
delle ribellioni di piazza che potrebbero riprendere, pone ogni struttura
coercitiva a costruire la sua rete di pedinamento supportata dai personaggi
narrati di cronisti di Repubblica, reali mukhabarat
o servili baltagheyah di cui sono state
piene le vicende nei mesi della cosiddetta Primavera. Gli uomini che hanno di fatto
torturato e ucciso attivisti locali, in circostanze che restano misteriose
perché purtroppo non s’è creato un deciso movimento di pressione come invece sta
sviluppando la storia del ricercatore friulano per opera di tante voci italiane
ed estere. La nota stonata di queste ore, è il rifiuto opposto dalle autorità
universitarie di Cambridge, di accogliere il desiderio di collaborazione
rivolto loro dalla famiglia Regeni. Questo è un mistero nel mistero, che può
rilanciare l’ipotesi di rapporti fra gli studi accademici di ricerca geopolitica
e sindacale compiuti da elementi come Regeni e, ad esempio, l’Intelligence
britannica. Un fattore S, che sta per spia, che può dar fiato a chi vede
l’Egitto nel mirino di complotti internazionali, cosa con cui Sisi, Ghaffar e
le loro cricche giustificano le nefandezze commesse dagli apparati (Nazionale e
Militare) contro gli “stranieri sospetti”.
A nostro avviso il dato che davvero conta non
riguarda chi abbia materialmente fatto torturare e uccidere Giulio, se i
militari contro il ministro Ghaffar o gli agenti di quest’ultimo per mettere in
difficoltà Al Sisi. I due, come altri politici del potere egiziano potranno
pure combattersi a suon di cadaveri, per mesi è accaduto sotto la dittatura
dello Scaf prima delle presidenziali del 2012 e anche dopo l’elezione di Morsi.
Anzi fu quest’ultimo a prepensionare il feldmaresciallo Tantawi per aprire un
nuovo corso con il giovane Sisi, che ovviamente non ha tradito la lobby di
provenienza sino a conseguire il golpe bianco a discapito del presidente islamista,
che aveva malriposto la sua scelta. Quello che deve interessare i democratici
egiziani e d’altri Paesi è denunciare un regime che nel suo complesso, con
lobbies e poteri forti pur in contrasto fra loro, fagocitano la vita interna ed
esterna della nazione. La verità che il governo Renzi s’era prefisso
d’inseguire riguardo a Regeni è una verità d’insieme che va oltre le
responsabilità individuali, per inchiodare la colpa collettiva del governo del
Cairo. Quando si parla di regime, com’è quello egiziano, la chiamata di correo
è per molte figure. E Sisi, Ghaffar e altri dignitari della repressione sono
tutti coinvolti.
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