Quanto possono incidere le agitazioni sociali del mondo rurale
indiano - che pur nell’indeterminatezza delle statistiche risulta coinvolgere
numeri da capogiro - nella controversa trasformazione statale cavalcata
nell’ultimo decennio dal Bharatiya Janata Party? Il partito di governo
s’ammanta di un’ideologia nient’affatto progressista, insegue un piano divisivo
esaltando l’etnìa hindu, indica questa religione come “l’unica matrice indiana”.
Di fatto polarizza la nazione-continente, orienta una stragrande maggioranza di
quasi un miliardo d’individui di fede hindu, opponendola agli islamici interni
e alle minoranze buddista, cristiana, sikh. Molti ministri del suo governo
hanno assunto posizioni reazionarie sul tema dell’immigrazione e delle
autonomie. E’ accaduto con la legge sulla cittadinanza che discrimina i
musulmani dei Paesi limitrofi cui viene interdetta la possibilità di rifugio in
India pur se perseguitati. E nel Kashmir messo a ferro e fuoco dopo le proteste
contro la cancellazione d’un articolo della Costituzione che garantiva da oltre
sessant’anni l’autogoverno amministrativo. L’Esecutivo a trazione Bjp, che
strizza l’occhio alle teorie razziste dell’hindutva,
ora accusa di vecchiume gli agricoltori del popolatissimo Uttar Pradesh e del
Punjab da settimane all’assedio della capitale. Non tanto riferendosi alle
barbe bianche dei nonni che affiancano figli e nipoti nella protesta, ma alla
scelta di scontro frontale con la liberalizzazione del mercato agricolo. I
contadini sanno che la cancellazione della copertura statale in quel mercato, favorirà
le multinazionali. Essi perderanno la possibilità di cedere i prodotti della
terra a un prezzo tutelato e li metterà alla mercé di colossi come l’India Reliance
Industries
forti nel dettare le tariffe, ovviamente a proprio favore. Questo mondo,
neanche tanto piccolo se condiziona la vita di mezzo miliardo di attuali
indiani, viene considerato superato da un governo che in altri settori non può
dare lezioni di efficienza.
Sul fronte geostrategico diversi analisti interni criticano l’ondivaga
strategia di Modi. Come altri iper nazionalisti sparsi qui e là sembra osservare
l’orizzonte con una lente rovesciata. E nell’ereditato desiderio di supremazia
- che fu anche d’altri premier di Delhi - stenta ancor di più, concentrato
com’è sulle vicende domestiche. Da qui il corto circuito indiano: divulgare
talune sue eccellenze (l’informatica di Bangalore, i set di Bollywood) e limitare
altri settori, restando isolato non solo sul versante diplomatico e delle
relazioni internazionali, ma paradossalmente anche su quello militare che
imporrebbe ben altre svolte a chi punta all’egemonia asiatica. Il suo presumibile
più numeroso esercito mondiale: 1.300.000 effettivi, 1.200.000 riservisti, 1.300.000
paramilitari (i cinesi vantano due milioni di militari e mezzo di riservisti)
non è strutturato adeguatamente per le sfide in corso. Seppure nei bunker si
conservino 150 testate atomiche, così da risultare la settima forza nucleare globale,
i restanti armamenti sono limitati rispetto ai balzi compiuti negli ultimi
tempi da attori con enormi pretese regionali. Delhi conta su carri armati Arjun
e T-90, elicotteri d’attacco statunitensi (Apache), russi (Kamov), francesi
(Hal Chetak), di recente ha acquisito caccia Rafale, ma taluni commentatori ritengono
l’arsenale inadeguato per le sfide attuali e prossime. Secondo altri il vero
problema è altrove. Riguarda uomini e strategie. Il dicastero della Difesa
viene definito un sifonoforo (specie marina d’invertebrati che vive in colonie dalle
forme sottili e allungate). La struttura militare indiana risulta frazionata in
molti, troppi, organismi dislocati in aree e località distanti fra loro, che
consumano energie e fondi seguendo percorsi a sé stanti, spesso
incomprensibili. Nel 2019 al ministero della Difesa è giunto un sodale di Modi,
addirittura più radicato dell’amico-premier in casa Bjp. E’ Rajnath Singh, pilastro non solo del partito di cui è stato presidente,
ma fervido sostenitore della citata hindutva,
coltivata nell’avvìo di militanza politica presso la fascistoide formazione Rashtriya Swayamsevak Sangh.
In precedenza il ministro aveva ricoperto altri incarichi. Quale
responsabile del dicastero dell’Interno nazionale e dell’Istruzione nell’Uttar
Pradesh s’era distinto per posizioni settarie sia in una gestione faziosa
dell’ordine pubblico, sia nella riscrittura in chiave hindu di libri di storia.
Aveva perorato la raccolta di fondi per gruppi paramilitari, fra cui il
battaglione Bastariya, sorto per
reprimere il movimento naxalita e appartenente alla galassia dei gruppi armati
che collaborano con la Central Reserve
Police Force, guidata dal ministero dell’Interno. Al considerevole impegno
per riorganizzare l’uso nazionale della forza non corrisponde oggi una forza
armata per le velleità geostrategiche regionali e mondiali. Però lanciare,
com’è stato minacciato, l’apparato poliziesco, e se non bastasse quello
militare, contro le manifestazioni dei trattori non sembra un’idea brillante. Perché,
come riferito da alcuni contadini sotto il simbolico Red Fort, “Siamo
qui in alcune decine di migliaia, potremo diventare milioni”. Attaccare il
settore agrario vuol dire colpire centinaia di milioni di concittadini anche di
fede hindu, quindi la leva dello scontro confessionale, tanto cara al Bjp, potrebbe
non pagare. Accanirsi su questi lavoratori significa mettere in crisi la fonte
primaria del Pil nazionale, calcolata attorno al 28%; aggiungere emergenza
sociale a una già grave difficoltà economica accresciuta dall’accidente della
pandemia. Sul terreno sanitario le cose vanno malissimo, sia i think tank
favorevoli a Modi che ne giustificano le insane mosse, sia critici che gli
fanno le pulci sul claudicante desiderio di grandezza mondiale conoscono la
percentuale del Pil destinata alla salute: appena l’1%. Quest’assoluta
insufficienza ha una drammatica ricaduta sulla vaccinazione anti Covid, col
Paese che pur essendo una delle fabbriche mondiali di farmaci e col Serum
Institute anche di vaccini, ha inoculato finora 5 milioni e mezzo di dosi,
coprendo lo 0,40% della sua gente. Anche questo dato è uno smacco alle presunte
modernità ed efficienza di Delhi, virtù che il governo rinfaccia agli
agricoltori dicendogli di cambiare orientamento, ma che nella realtà non fa
proprie.
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