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martedì 31 agosto 2021
Fine agosto 2021 a Kabul
venerdì 27 agosto 2021
Haqqani, i cuori neri taliban
Sfuggente sotto il suo mantello, e misterioso, Sirajuddin Haqqani, inseguìto da cacciatori di scoop - rilasciò una breve intervista a David Chater per Al Jazeera nel 2010 - e dai cacciatori di taglie - la Cia aveva prezzato la sua testa dieci milioni di dollari - è l’uomo indicato dagli analisti come il conquistatore effettivo di Kabul. Colui che insieme al capo dell’ala militare talebana Yaqoob (comunque vicino al leader Akhunzada e al diplomatico Baradar) ha voluto accelerare i tempi per la presa della capitale. Mettendo a nudo l’affanno statunitense per l’uscita dal Paese, l’assalto agli aerei in pista e in volo, l’ansia di fuggire degli afghani collaboratori degli occidentali, di quelli occidentalizzati, di coloro che pur col cuore infranto lasciano il Paese, o vorrebbero farlo, perché la sola vista dei turbanti e dei loro progetti gli fa accapponare la pelle. Di Sirajuddin che è figlio d’arte, l’arte della guerriglia vera, non sognata e promessa come vagheggia Ahmad Massud, si raccontano le oscillazioni politiche, di leader che è con e contro le stesse persone, che poi sono i compagni d’un islamismo rivisitato in chiave fondamentalista. Ancor più del padre Jalaluddin, ex mujahhedin antisovietico tutto d’un pezzo e lui stesso signore della guerra accanto a Younis Khalis, Sirajuddin vuol mostrare coi fatti d’essere un capo, e i fatti sono azioni di guerra. Nel 2008 si diceva avesse in animo di far fuori il presidente Karzai, progetto inattuato, ma nel suo entrare e uscire dalla Shura di Quetta, prima, durante e dopo la presenza del mullah Omar, c’è da una parte la voglia di protagonismo, dall’altra una sorta di doppiogiochismo personale in linea con quelle frequentazioni che la cosiddetta “Rete di Haqqani” mantiene con l’Inter-Services, l’Intelligence pakistana.
Foraggiati, aiutati dagli 007 di Islamabad, spesso in contrasto con altre strutture militari nazionali, sin dall’origine dialogante con Al Qaeda, il clan Haqqani è non solo la variabile eterodossa per eccellenza della galassia talebana, ma come si suol dire mantiene il piede in più staffe. Se Sirajuddin nei mesi scorsi, per chiudere la partita della conquista del Paese, ha spinto più sull’accelerazione militare in opposizione al dialogante Baradar, nella delegazione di Doha sedeva anche suo fratello, Anas Haqqani, finito anni addietro in carcere e condannato a morte, ma tuttora vivo, vegeto e operante. Per chi? Ufficialmente per i talebani ortodossi, ma i legami col fratello maggiore non sono solo quelli di sangue. Per non dimenticare altri membri di famiglia: lo zio Khalil, il cognato Yahya, e altri elementi della tribù Zadran, attivi in quella terra di nessuno che sono le Fata (le Aree tribali federali), e che spaziano dal nord Waziristan, in terra pakistana, alla provincia di Paktiya, a sud di Kabul. Signori del territorio, oltre che di guerre e affari. Come ce ne sono altri, ma un clan potente e temibile, responsabile dieci anni addietro dei maggiori attentati afghani (Hotel Intercontinental di Kabul nel 2011, a seguire attacchi all’ambasciata americana, al quartier generale Isaf, al palazzo presidenziale, alla Direzione della sicurezza afghana sempre nella capitale). Per questo gli Haqqani si guadagnarono il marchio di superterroristi da parte della Casa Bianca. Da quando, era il 2015, anche in Afghanistan comparve la sigla Isis con tanto di sangue sparso e morti, s’è cercato di comprendere chi fossero i suoi miliziani. L’ISPK che indica lo Stato Islamico del Khorasan, regione assai vasta, sconfinante in Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan, ha avuto solo sul suolo afghano azioni di guerriglia, divenute dal 2017 crescenti per un motivo preciso: evidenziare presenza, potenza di fuoco, distruzione, morte soprattutto sui civili.
Mentre i taliban di Quetta continuavano a colpire obiettivi militari e politici afghani, l’ISPK assassinava studentesse, madri e neonati, gente innocentissima e innocua, mostrando non solo folle spregio per la vita, ma rubando scena e spazio agli altri talebani. A mettere mano a ogni sorta d’esplosione, compreso il martirio come ieri ad Abbey Gate, erano talebani dissidenti, del Khorasan appunto, provenienti anche dai gruppi tribali delle Fata. Gli Haqqani sono sospettati di tramare con loro. Così l’orribile attentato che nell’aeroporto di Kabul ha squarciato i corpi di chi era in fila, e le speranze di chi vorrebbe ancora partire, rappresenta un espresso monito ai nuovi padroni del Paese. Non gli statunitensi incapaci pure di governare la fuga. Non i transfughi del vecchio regime, Karzai e Abdullah, che gli uomini di Baradar hanno consultato per tre giorni e poi riposto ai domiciliari. La sfida è lanciata ai pretenziosi turbanti di governo, di potere, di gestione d’uno Stato che non esiste e non si sa se e come costruire, a cominciare dallo spirito di chi dalle città fugge e di chi nei villaggi abbassa lo sguardo e obbedisce, perché dopo la frusta può arrivare il colpo di kalashnikov. Il quadro che si prospetta è addirittura più tragico. E sembra un paradosso, dal momento che ci sono talebani più criminali degli attuali sedicenti vincitori, quest’ultimi devono comprendere se il terreno della sicurezza non gli franerà sotto i piedi. Oppure la guerra per il comando vedrà un secondo atto. Nella destabilizzazione dello stesso possibile Emirato dell’Afghanistan c’è sicuramente - ma può non essere il solo - il cinico vicino pakistano. Se gli Haqqani sono con loro e col rilancio del terrore generalizzato firmato Isis del Khorasan, si scoprirà. Oppure no, come del resto parzialmente celate rimangono le manovre dei molti nemici d’una nazione afghana.
giovedì 26 agosto 2021
Aeroporto Karzai, l’attentato arriva
martedì 24 agosto 2021
Barakzai, la politica, il potere, le donne
Certo, 71 donne su 249 deputati costituiscono una netta minoranza, ma è su questa presenza, involontariamente o meno, ininfluente che ha viaggiato in questi anni la vulgata della trasformazione dell’Afghanistan. Si ripeteva sino alla nausea che, grazie all’intervento Nato, l’Afganistan rinasceva in tutto, anche riguardo ai diritti femminili. Purtroppo una legge del 2007 contro la violenza sulle donne non ha mai ricevuto – per volontà di Karzai e del fronte fondamentalista interno – il decreto attuativo. Cosicché ben pochi processi per omicidio, stupro, violenze di genere sono stati celebrati, cosa che in questi anni la stampa mainstream, e l’Italia s’era distinta, non ha raccontato. Eppure chi in quel Paese (e torniamo alle Malalai Joya, alle militanti Rawa) questa linea la persegue con coraggio e caparbietà, divulgava simili spiacevoli realtà. Insomma certe deputate degli esecutivi Karzai e Ghani, volenti o nolenti, hanno rappresentato la maschera per forme brutali rimaste inalterate. Barakzai sempre molto attiva, molto presente, ha ricevuto altri incarichi, è stata ambasciatrice in Afghanistan per la Norvegia. Sicuramente è odiata dal fondamentalismo che nel 2014 l’ha ferita in un attacco a un convoglio sul quale viaggiava. Ma Shukria ha proseguito i suoi impegni. Anche perché nella vita pubblica e in quella privata aveva creato solidi legami con gli affari. Il marito, Abdul Ghafar Daw, dopo il suo ingresso in politica era diventato uno dei dirigenti di Kabul Bank, prima banca privata del Paese. Nel 2011 l’istituto è in bancarotta. Vengono a galla i favori compiuti dalla banca a politici e mafiosi locali con tanto di ammanchi per centinaia di milioni di dollari. A sostenere ruberie e accaparramenti personali verso Mahmood Karzai, uno dei fratelli del presidente Hamid, e del vice presidente nonché signore della guerra Fahim, c’erano il responsabile di Kabul Bank, tal Farnood e alcuni dirigenti, fra cui Daw, mister Barakzai. Lunghi processi, promesse di perseguire i responsabili, alcuni arrestati e poi, alla maniera occidentale, rilasciati, altri riparati all’estero e mai perseguiti. Appena nominato il neo presidente Ghani fece della punizione dei colpevoli una questione d’onore, presto smarrito per via. Prima di quello scandalo la chiacchierata coppia Shukria-Abdul aveva ottenuto altri favori in fatto di rifornimento di carburante agli aeroporti del Paese. Nel caos di questi giorni, davanti allo spettro d’un governo talebano aperto ai potentati degli ultimi vent’anni, una domanda si può rivolgere alla deputata finora bloccata all’aeroporto: per chi e per cosa Barakzai si era candidata alla presidenza del Paese?
lunedì 23 agosto 2021
Resistenza afghana, leoni e cuccioli
sabato 21 agosto 2021
Esuli afghani: il sogno di Karim
giovedì 19 agosto 2021
Afghanistan, issare una bandiera infangata
martedì 17 agosto 2021
Le rassicurazioni talebane in conferenza stampa
domenica 15 agosto 2021
L’orgoglio talebano fra rassegnazione e paura
Kabul è talebana
venerdì 13 agosto 2021
Muore Strada, l’uomo che curava i talebani
Cosa accadrà a questi centri, ora che la cronaca afghana preannuncia un cambiamento al vertice favorevole agli “studenti coranici”, non è dato sapere. Seppure aver prestato soccorso e salvato le vite di tutti, degli stessi miliziani, ha contribuito a diffondere rispetto e considerazione a quella che risulta una vera azione umanitaria, condotta con medici e infermieri non con truppe in mimetica. Se fra le ipotesi d’un futuro che è cronaca quotidiana, la conquista talebana del potere centrale avverrà senza uno scontro civile, le vittime di guerra potrebbero diminuire. Certo, seguiranno ben altri problemi riguardo a violenze, vessazioni, torture. Per quanto si sta osservando in queste ore l’emergenza umanitaria già in atto riguarda la gigantesca fuga di cittadini. Verso le frontiere pakistana e iraniana e dentro la stessa nazione in dissoluzione. Dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu si calcola un’ipotetica migrazione della metà del popolo afghano: diciotto milioni di persone. Un numero incontenibile per qualsiasi accoglienza. Attiviste di talune Ong afghane, con cui è in contatto la Onlus italiana Cisda (che sul suo sito dà indicazioni per una raccolta di fondi a sostegno di quest’emergenza), in queste giornate drammatiche si danno un gran daffare.
mercoledì 11 agosto 2021
Egitto, il regime che ricatta l’impresa