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sabato 21 agosto 2021

Esuli afghani: il sogno di Karim

Karim parla fra gli altri afghani, in genere uomini, che si sono riuniti stamane in un angolo della romana piazza Esedra. Un centinaio fra singoli e famiglie della comunità afghana della capitale che hanno un punto di ritrovo nel quartiere popolare di Torpignattara. L’assemblea è un momento simbolico, volto a spezzare l’immobilismo e lo stesso individualismo che caratterizza la difficile esistenza del rifugiato o dell’immigrato. Il disprezzo per la riconquista talebana è totale, il desiderio di aiutare i compatrioti è ampio. Seppure accompagnato da una sostanziale impotenza: perché al di là di futuri ‘corridoi umanitari’ essi stessi contingentati, chi oggi trova posto sui voli predisposti dal Ministero degli Esteri e della Difesa italiani, sono i beneficiari d’un lasciapassare concesso solo a chi ha lavorato con le strutture occidentali. La motivazione è esplicita: costoro e i familiari rischiano ritorsioni, si dice già iniziate. Ma gli altri? A chi vorrebbe andar via dal nuovo regime e non può farlo in aereo, restano ancora una volta, come trenta e venti anni or sono, le fughe della speranza simili a quella narrato da Ali Eshani, un ex bambino e poi giovane che la sua vicenda, un viaggio durato tre anni, attraverso Iran, Turchia, Grecia nel cui mare ha perduto il fratello maggiore, l’ha narrata in un libro di successo: Stasera guardiamo le stelle, Feltrinelli. Eccolo il tema dei profughi afghani che in Occidente giungono dai tempi della terribile guerra civile dei primi anni Novanta. Cercare soluzioni individuali: uno su mille ce la fa, come indica la rotta balcanica degli ultimi tempi e chi la segue dappresso come l’associazione Linea d’Ombra di Trieste, che s’è trovata perseguitata dalle leggi vigenti. Gli attivisti Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, sono accusati di ospitare clandestini. Lì dove gli afghani sono più numerosi: in Francia, di cui l’Office Français de protection des rèfugiés et apatrides offre dati che li indicano quale maggiore comunità beneficiaria di diritto d’asilo (oltre 33.000 presenze), mentre problemi di sistemazione logistica e lavorativa si risolvono pure, quelli sul futuro dell’agognato Paese restano marchiati dal passato.
Unificare, anche solo nel pensiero, gli afghani di Francia appare difficile, racconta un reportage apparso su Le Monde. Pashtun, hazara, uzbeki, tajiki se non si guardano in cagnesco anche all’estero, certo non s’aiutano. “E’ anche peggio che laggiù. Perché in terra afghana, vivendo nella propria comunità, dovevamo andare d’accordo per proseguire. Qui si fanno vite separate. Se vi recate in un’associazione tajika vedrete l’immagine di Massud (ex signore della guerra venerato come un eroe da quell’etnìa). Così presso gli hazara… Dividerci per regnare è il progetto talebano, ben riuscito nel loro scopo”. Del resto l’ipotetica situazione d’una resistenza nel Panshir - col figlio dell’ex combattente detto leone, che accorpa anche rottami dello Stato fantoccio crollato, nella persona del vicepresidente Saleh, ex responsabile dell’Intelligence e responsabile di trattamenti nient’affatto benevoli per i prigionieri talebani e non - potrebbe far rientrare da certe finestre soluzioni di guerra civile che gli accordi di “pacificazione” volevano escludere. Quanto poi a firmarli coi taliban è frutto del cinismo geopolitico, ma questo è accaduto. Ed è su questa cruda realtà che sogno di Karim rischia d’infrangersi. Lui sostiene che “La strada per essere un popolo non è intrapresa da decenni. C’è stata un’opposizione dei mujaheddin all’invasione russa, una talebana a quella della Nato. C’è stato un conflitto fra i signori della guerra e un primo regime taliban, nessuno era interessato a dare una dimensione comune alla popolazione. Né l’hanno fatto i governi degli ultimi vent’anni. Il popolo ha subìto questi disegni, ha pagato con la vita e la fuga certe imposizioni. Vivo in Italia da alcuni anni, ma sogno una nazione unita e pacificata dove vorrei tornare e come me tanti rifugiati. Dovremmo avere a disposizione le risorse, che esistono nel nostro Paese tantoché vengono sfruttate da altri, dovremmo poter gestire una rinascita che solo noi uomini e donne dell’Afghanistan potremo realizzare. Certo senza i taliban e il ceto politico che ci ha ridotti alla miseria. Spero nei ritorni, non nelle fughe dal nostro Paese”.

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