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martedì 23 luglio 2013

Kenawi “L’infantilità del ceto politico egiziano mette a rischio la democrazia“


L’Egitto che avanza e torna sui suoi passi, cerca maggiore democrazia e la perde. Non si libera del vizio atavico della tutela dell’uomo forte spalleggiato dalle divise. Tutto sotto lo sguardo di un Occidente, amico totalmente interessato. Abbiamo ascoltato sul tema i pareri di due giovani intellettuali, un docente universitario e un regista che vivono fra l’Italia e le sponde del Nilo.
Nel lavoro creativo e documentario Mohammad Kenawi è abituato a osservare, ascoltare, riflettere. Gli serve per scoprire e illuminare le persone di cui narra storie dal respiro spesso collettivo. Si era già soffermato sui comportamenti del popolo rumeno verso il leader Ceausescu. Un rapporto d’amore-odio concluso con una tragedia meno spontanea e ribelle di quanto all’epoca apparisse. Nonostante il sentimento che lo lega alla Patria e all’innegabile passione per le cose d’Egitto del suo Paese non dice un gran bene. “I due anni e mezzo di speranze e paure evidenziano anche atteggiamenti di enorme immaturità. Ultrasessantenni  si comportano come bambini dispettosi e sto parlando di leader politici, economisti, uomini pubblici cui sono affidate le sorti della nazione, non certo di poveri derelitti di strada”.

Un’opinione severissima, non crede?
Lo è a ragione. Perché questo ceto politico risponde all’ego, alla vanità, al settarismo di parte mentre proclama di fare il bene della nazione. Così rischiamo tutti di cadere nel baratro. Se non è infantilismo si tratta di patologia, dunque d’un problema anche più grave.

C’è una cura?
Ci sarebbe: evitare l’estremismo che la vita egiziana va assumendo. La politica è la punta dell’iceberg ma tutto sta virando verso una polarizzazione. Aut aut. Quando l’interlocutore inizia un qualsiasi discorso puoi notare una luce nei suoi occhi, dopo non molto ti domanda se sei d’accordo con lui. Se lo sei ti sorride, in caso contrario ti cataloga. Non immediatamente come nemico, ma meno affidabile sì. Da quell’istante su qualsiasi argomento ti chiederà: tu con chi stai? Hai voglia a rispondere: sto col mio credo, la mia coscienza che non sono né un partito né una sigla. Servirà a poco. Il dualismo del di qua o di là è una cosa orribile che divide amici e familiari. Nelle stesse compagnìe si creano contrapposizioni spesso insormontabili. Se vieni bollato quale avversario è finita. Sei escluso, cancellato da qualsiasi relazione. Pochi si pongono il beneficio del dubbio che consente di analizzare la fase che attraversiamo.

E come vede gli attuali egiziani?
Esistono varie categorie. Una parte della popolazione è composta da chi vuole imitare l’Occidente. Sono i ragazzi che sognano di emigrare nel Mediterraneo del nord e quando giungono a destinazione si fanno chiamare Johnny anziché Gamal non solo per venire accettati più facilmente ma perché per loro l’esotismo anglofono rappresenta un modello positivo e quello arabo quasi una vergogna. E’ un atteggiamento che si ritrova anche nella classe media o nei ceti elevati. Costoro vogliono vivere all’occidentale e non ammettono altri mondi. Alcuni non conoscono neppure i problemi in cui si dibatte la società agognata. Una seconda categoria è costituita dai pigri che tirano a campare evitando un impegno vero. La nostra reputazione all’estero non è delle migliori anche per questo genere di comportamenti… Si dice che il Paese necessiti d’un dittatore, se non si usa una forma severa per condurre le cose tutto va a rotoli. Per molti servirebbe l’uomo forte “giusto” che all’orizzonte non si vede proprio. L’amministrazione Mursi voleva mutare l’approccio col lavoro incrementando la coscienza personale, però è naufragata.

Per questo motivo i generali hanno chances…
Con la Rivoluzione del 25 gennaio la piazza ha rimosso la faccia del regime, il corpo è rimasto lì. Quel corpo è costituito da militari, magistrati, media. Poteri immensi. Gran parte di queste lobbies sono legate al regime di Mubarak, la Rivoluzione non le ha scalfite, afferiscono tutte all’antico sistema e sono ancora lì. Mursi voleva pianificare dei cambiamenti. Prendiamo l’esempio di Suez. I dazi del Canale rappresentano la prima entrata nazionale, il governo islamico pensava ad aumentare il gettito incrementando i flussi di passaggio, ma i teorizzatori delle liberalizzazioni e chi non voleva impegnarsi erano già pronti a ostacolare qualsiasi trasformazione. Con affermazioni del genere in Egitto sarei definito un Fratello Musulmano. Non è così perché non lo sono, sono un laico che non vuole avallare i piani di chi sta rovinando il Paese.  

I giovani non s’accorgono di quanto il regime passato sia tuttora attivo?
Quel che continuiamo a vedere è frutto del trentennio di dittatura di Mubarak e di chi l’ha preceduto, i modelli occidentali da imitare vengono da lì e la mano americana è molto presente. Una grossa fetta degli oppositori a Mursi sono giovani che chiedono un futuro migliore ma non lo riceveranno. I ruoli distribuiti anche ufficialmente nel governo di El-Beblawi premiano uomini e donne vicini agli apparati d’un tempo, altro che tecnici si tratta di elementi al servizio dell’imperialismo internazionale!  

L’offensiva anti Fratellanza può produrre una sua perdita di consenso a vantaggio di salafismo e jihadismo?
Fra gli stessi egiziani c’è confusione sui tanti volti dell’Islam e da noi le componenti sono varie, vanno dal sufismo pacifista al salafismo politico, fino a quello fondamentalista e jihadista. La Fratellanza sta nel mezzo, coniuga tradizione religiosa e sociale con realismo politico senza ricadute estreme. Io non credo che risponderà violentemente, forse lo farà qualche altro gruppo. La Brotherhood ha conosciuto ostracismi e persecuzioni, è abituata a stare “sotto le scale”, a nascondersi mescolandosi in altri partiti. Attualmente c’è tanta parte del popolo contro i Fratelli  (è di ieri una statistica che vede il 70% degli egiziani non solidali con le proteste a favore di Mursi, ndr).  La loro dirigenza medita sulla tattica da seguire. Ripercorre altre situazioni pur nella diversità: l’organizzazione islamica turca che di scioglimento in scioglimento negli anni Ottanta e Novanta è giunta al potere sull’onda dei successi elettorali; il caso algerino finito nel vicolo cieco d’una ferocissima guerra civile per bande; nel suo piccolo viene esaminato anche il governo di Hamas. Un comune denominatore può far dire che gli avversari inducono gli islamici a misurarsi sul terreno elettorale, ma se vincono e raggiungono il potere vengono mal sopportati e osteggiati.

Come vede le prossime elezioni?
Probabilmente l’Islam politico non prevarrà come nel 2012 ma anche gli altri gruppi non hanno certezze assolute, la divisione è il loro punto debole. Ciò che deve preoccupare maggiormente è la destrutturazione delle regole. La nostra classe politica si comporta come i bambini nelle partite di calcio informali quando decidono chi vince in base alle reti segnate. Prima dicono sei goal poi durante la gara li raddoppiano: occorre arrivare a dodici! Quel che si era stabilito all’inizio non vale più e questo è destabilizzante. Nella migliore delle ipotesi la vita politica egiziana registra comportamenti infantili, nella peggiore rischia il collasso del non ritorno alla democrazia.

E una collaborazione per la salvezza della Patria?
E’ un’ipotesi richiamata da tutti ma non praticata a causa della polarizzazione. La mancanza di collaborazione è davvero sconfortante. Riporto qualche esempio. Ho sentito attivisti del Fronte di Salvezza Nazionale rallegrarsi delle difficoltà di Mursi nella gestione della crisi dell’acqua del Nilo (per la vicenda della mega diga etiopica, ndr) come se quello fosse un problema del presidente e non della nazione. Di fatto è l’ennesima eredità di Mubarak che incrudì le relazioni con alcuni Paesi africani per i tentativi di attentato nei suoi confronti verificatisi durante alcune visite di Stato. Da amici ho avuto notizie sul boicottaggio del carburante con accaparramenti solo per farlo mancare e creare disagi. Dopo la rimozione di Mursi la distribuzione è tornata normale. Quest’anno un ministro del governo Qandil aveva stipulato accordi per evitare che il Paese esportasse grano, l’intera produzione era destinata al fabbisogno nazionale che è elevatissimo anche per le nostre abitudini alimentari. Beh, i contadini hanno lamentato un’infinità di incendi dolosi nelle aree agricole del Delta del Nilo.

Per episodi simili non scatta un senso di solidarietà collettiva?
Non scatta. C’è una discrasia fra le manifestazioni di piazza e la quotidianità. L’uomo della strada vuole mangiare, lavorare e non pensare ad altro. Molta gente s’accorge dell’ostracismo rivolto all’Egitto prima che alla Fratellanza ma prevale il tirare a campare insieme al desiderio di risolvere le questioni presto più che bene. Perciò l’uomo forte può trovare spazio. Scusate ma sono pessimista. E’ disposto a collaborare chi è onesto e civile, chi ha a cuore interessi generali non il proprio tornaconto. Davanti al mondo ci stiamo comportando come ragazzini capricciosi. Sotto gli occhi di tutti c’è l’immagine del fallimento di una nazione.

lunedì 22 luglio 2013

Abdel Kader “Dagli intellettuali uno stimolo per l’emancipazione del Paese, non alibi per uno Stato autoritario“


L’Egitto che avanza e torna sui suoi passi, cerca maggiore democrazia e la perde. Non si libera del vizio atavico della tutela dell’uomo forte spalleggiato dalle divise e sotto lo sguardo di un Occidente, amico totalmente interessato. Abbiamo ascoltato sul tema i pareri di due giovani intellettuali, un docente universitario e un regista che vivono fra l’Italia e le sponde del Nilo. Muhammad Abdel Kader è un professore di Italianistica che ha concluso la specializzazione presso l’Università di Tor Vergata in Roma. E’ recente vincitore di un concorso per la cattedra all’Università di Helwan a sud del Cairo. Originario del quartiere cairota di Maadi vive tuttora a Roma in attesa dell’avvìo dell’incarico.

Professore quello del 3 luglio è un colpo di Stato oppure no?
Lo è certamente. Purtroppo i generali non hanno rispettato la nuova creatura nata in Egitto con la “Rivoluzione del 25 gennaio” che si chiama democrazia, anche perché non sono mai stati abituati a farlo. Così la situazione è tornata al 24 gennaio 2011 e l’apparato-regime di Mubarak, di cui le Forze Armate sono il pilastro, conserva un potere inalterato. Ora o i militari vincono e il Paese resta sotto il loro controllo per altri sessant’anni oppure la nazione si emancipa e costruisce un futuro fuori da quella “garanzia” che passivizza le masse. Personalmente non ho partecipato alle consultazioni elettorali del 2012, non sono stato elettore di nessuno schieramento e nell’esprimere valutazioni mi ritengo libero da partigianerie. Resto però sorpreso dalla copertura offerta da taluni intellettuali progressisti a un’azione autoritaria e illegittima. Costoro a posteriori insinuano dubbi sulla trasparenza di quelle consultazioni. Nessuno ha mai avuto a ridire suoi 13 milioni di voti presi da Shafiq che alla fine è stato battuto da un candidato con maggiori consensi. Perché l’elezione di Mursi non sarebbe valida?

Democrazia, qual è il rapporto che la nazione ha con questa che lei definisce la nuova creatura nella vita egiziana?
E’ un rapporto legato ai militari, purtroppo. Non si tratta del primo golpe, più o meno mascherato. Nella storia del Paese – da re Farouk a Naguib – i colpi di mano rientrano nelle ipotesi praticate per raggiungere il potere. Posso capire che ci sia una consistente fetta della popolazione attratta dall’uomo forte perché siamo di fronte a un popolo che conta un 40% di analfabeti e un 50% di poveri. Elementi oggettivamente deboli, manipolabili, ricattabili da ogni parte politica. Per questo uomini forti affascinano molta gente. Però mi stupisce che intellettuali come Al-Aswani, e anche scrittori capaci si lancino in operazioni di copertura della repressione. E’ vero che costoro detestano l’Islam politico, ma da qui ad appoggiare i militari ce ne passa. Sull’altro fronte la Fratellanza e recentemente il salafismo mostrano leader dal linguaggio inadatto e aggressivo. Se però si parla d’intolleranza e violenza, beh la Confraternita non avalla nessun estremismo, alcuni suoi attivisti possono essere violenti  come lo sono i giovani di Tahrir o certi Tamarod. In un cartoon tedesco ho visto una semplificazione della nostra situazione politica. Il regista mostrava da una parte liberali e intellettuali di sinistra che lodano l’intervento dell’esercito, dall’altra  varie componenti dell’Islam politico, dai moderati della Fratellanza ai miliziani jihadisti che hanno abbandonato le armi, accettato la democrazia, partecipato e vinto alcune elezioni (Gamaa Al-Islamya, ad esempio, ndr). Gli intellettuali erano tutti nella prima frazione. E’ una ricostruzione schematica ma vera perché la storia della nazione vede l’intellighenzia legata unicamente alle esperienze post-coloniali che hanno avvicinato le speranze nazional-socialiste a un orgoglio smarrito.

Dirigenza islamica e dirigenza laica, un dialogo impossibile?
Sembra di sì. La situazione è incrudita e si ragiona in termini di esclusione più che di compartecipazione. Mursi ha guidato la nazione per un anno mostrando parecchie lacune, non è stato un abile presidente. In campagna elettorale ha promesso troppo e immediatamente gli è stato chiesto il conto. Ha comunque subìto una pesante azione diffamatoria da parte di media controllati da affaristi collusi col vecchio regime. Certi network privati l’hanno attaccato dal giorno successivo all’elezione, un tam-tam incessante contro cui la Fratellanza s’è trovata sguarnita avendo pochi strumenti mediatici a disposizione. La promessa di far luce sui casi di corruzione e malaffare fra economia e politica non ha giovato alla sua tranquillità. L’ex partito di Mubarak (Partito Nazionale Democratico, ndr) sciolto già nel marzo 2011 ha ritrovato divieto di riorganizzazione nella Costituzione del novembre 2012, un veto voluto dalla Fratellanza Musulmana. Questo spiega una parte dell’odio gettato dai nostalgici sulla Carta Costituzionale accusata d’islamismo spinto. Si tratta di un’area ben più ampia dei tre milioni di aderenti a quella formazione, un gran pezzo della società egiziana trasversale composta da capitalisti e affaristi connessi a economia e finanza che ruotano attorno a enti e organismi dello Stato  per il  quale s’è coniato la definizione di “Stato profondo”. Mi riferisco ai manager – i tecnici – gestori di strutture che si occupano di servizi e forniture (acqua, petrolio, carbone). Una lobby passata dall’epoca di Mubarak alla stessa amministrazione della Fratellanza che non l’ha intaccata né sostituita con propri uomini perché questi ultimi sono privi di esperienza e competenze di settore. Durante i dodici mesi di presidenza Mursi in più occasioni taluni di questi servizi si sono bloccati, creando gravi carenze e timori fra la gente. Analisti attenti hanno evidenziato che si trattava d’iniziative volute. Non sono complottista ma non si può negare la strumentalità di simili manovre cessate dopo il ricambio politico. E c’è da aggiungere l’impatto degli apparati repressivi - la polizia innanzitutto - un organismo che ha sempre schiacciato la militanza islamica con arresti e torture e continua a non fare sconti.

Eppure gli oppositori della Fratellanza l’accusano di aver occupato ogni posto di potere, come mai i propri uomini mancavano in settori economici strategici?
La Fratellanza mancava e manca delle risorse umane per gestire tali settori. Superati i momenti più duri delle persecuzioni passate gli islamici hanno potuto anche formare una propria classe dirigente all’estero, un esempio è la generazione dei Mursi, ma alle eventuali competenze teoriche non hanno aggiunto le conoscenze dei gangli del sistema interno. Per fare ciò serve tempo, occorre stare in quelle strutture, verificarne funzionamenti e disservizi, per gestirli e magari migliorarne i meccanismi. Bisogna interfacciarsi con personaggi inseriti in contesti nazionali ed esteri. E questi in genere sono feloul e filo occidentali che non ammettono ingerenze.

Un’altra debolezza dell’Islam politico egiziano sta proprio nel rapporto col mondo culturale e gli intellettuali, i Fratelli Musulmani si pongono il tema dell’egemonia?
Iniziano a porselo e certamente lo scippo di governo li farà riflettere. Nel rapporto con l’opinione pubblica più acculturata, coi ceti medi, coi giovani l’Islam politico paga carenze del suo apparato intellettuale. La Fratellanza, e gli stessi salafiti, hanno una leadership ideologica  magari vantano qualche teologo, sebbene l’importante centro di Al-Azhar si tenga lontano da connessioni partitiche. Non mostrano, però, teorici che usano strumenti tradizionali come la letteratura o la diffusione tramite  nuovi media. Curano l’informazione, ma in posizione minoritaria visto che nel Paese prevalgono i network impregnati di cultura occidentale, il divario coi modelli tradizionali è ancora enorme. Comunque traspare qualche segnale, dal superamento della chiusura settaria che un tempo faceva disconoscere a un leader della Confraternita il valore di Mahfouz (successivamente quel politico fece marcia indietro parlando a favore del nostro premio Nobel) all’elaborazione critica operata da giovani acculturati. Ho assistito a un dibattito televisivo in cui dei ragazzi egiziani dialogavano e controbattevano senza remore e con capacità analitiche e dialettiche a un noto intellettuale progressista filo americano, opponendogli il desiderio d’una ricerca che superasse stereotipi datati e stantii. La strada d’un nuovo Egitto passa anche per una nuova interpretazione del ruolo della cultura. E nella conseguente lotta per l’egemonia non è scontato che il panorama resti bloccato. Islam politico e orgoglio identitario laico non succube di un Occidente dal “pensiero unico” possono entrare in gioco, nella cultura oltre che in politica.

Una delle maggiori paure diffuse dagli oppositori a Mursi riguarda la Shari’a introdotta dalla Costituzione che ora si vuole emendare
Ho letto la Costituzione introdotta nello scorso novembre e non vedo dove s’annidi la Shari’a. Gran parte della Carta ripercorre i passi di quella del 1971, i timori sono una cosa, le fobìe un’altra. Dietro un’esasperazione di questo tema si può celare il tentativo di umiliare la tradizione islamica del Paese che nessun presidente, anche il più laico come Nasser, aveva intaccato. E c’è un ulteriore fattore da considerare. Il rovesciamento delle conquiste partecipative qual è l’espressione democratica del voto,  raggirato e umiliato dal colpo di mano militare, può produrre scompensi nella popolazione specie più giovane. Chi attacca frontalmente la Fratellanza non considera la moderazione di questa forza, il suo accettare confronto e democrazia borghese. Indurre tanti giovani a una perdita di fiducia nelle istituzioni e negli strumenti pacifici può spostare la massa verso quel fanatismo predicato da un altro Islam: il jiahadismo qaedista. Esso sì rappresenta – a mio avviso – un pericolo visto ciò che accade nei Paesi limitrofi. Puntare a destabilizzare la più grande nazione araba fomentando contrasti da guerra civile è quanto di più sciagurato la politica possa fare.

sabato 20 luglio 2013

Colonia Italia



C’è poco da stupirsi dell’ennesimo schiaffo ricevuto dall’alleato statunitense depositario massimo della libertà nel mondo. La sua. Un concetto personalissimo di questa magnifica categoria che nel codice americano diventa licenza e sopruso verso gli amici prima che sui nemici. L’avevano già fatto nelle situazioni più varie di pace e di guerra, vera e simulata. Per chi siede alla Casa Bianca il politico italiano è comunque un erede del De Gasperi che animato da tanta fede e senso realistico andava col cappello in mano a raccogliere oboli per la nazione da ricostruire e mettere a disposizione di nuovi padroni. Una Patria che ha barattato il piano Marshall coi piani di Gladio e poi nei decenni quello Solo, le strategie della tensione, la guerra a bassa intensità, l’operazione Blue Moon non ha mai potuto vantare alcun libero arbitrio. E’ vero che al mondo legami e lacciuoli sono molteplici e più in alto si va nelle ragioni di Stato più i primi aumentano e s’intorbidiscono. Ma l’Italia asservita - democristiana, del centrosinistra della prim’ora, consociativa, berlusconiana e ora emergenziale – ha mutuato dall’alleato-padrone l’inquietante tratto della menzogna. Per decenni ha nascosto le trame e mentito ai cittadini con quella classe politica imperitura e impudica che aveva il volto degli “statisti” Andreotti e Cossiga. E la tradizione prosegue.

Perciò la finta irritazione allo scippo d’un “Lady” particolare qual è lo 007 della Cia, condotto dal rifugio panamense non in Italia dove l’attendeva un mandato di cattura internazionale mosso dalla Procura milanese bensì negli States in cui l’hanno riportato i sodali dell’Intelligence di Langley, pare l’ennesima penosa recita d’un Esecutivo senza identità se non quella di servire voleri e capricci dell’Impero. Nel 2003 quell’uomo diresse la notissima operazione di Extraordinary Rendition nella quale un carabiniere del Ros collaborava con agenti statunitensi che rapivano (a Milano) e torturavano (al Cairo) l’imam Abu Omar. Ora l’epicedio tanto per darsi un tono, ma dall’ode si passa alla sceneggiata. Cancellieri (sic), Bonino, Letta non vogliono né possono protestare e alzare la voce verso la Casa Bianca. Glielo impedisce il passato filo yankee delle decine di governi che furono e un’attualità sempre più scadente verso qualsiasi elargitore e impostore come mostra il pasticcio kazako. Un establishment che si blinda nei “non sapevo” bugiardi o incapaci scredita la nazione. Un premier che lo spalleggia nel triste spettacolo (per salvare anche se stesso) è complice. Un Parlamento che puntella questo scempio è colluso. Un Capo di Stato che cerca di giustificare il misfatto col catastrofismo di quel che può accadere suggella l’anormalità politica in cui vive l’Italia. Che non cessa di rimanere colonia e dove non solo lo stato di diritto ma l’etica di uno Stato sono smarriti. Per questo siamo relegati al ruolo di punching-ball e gli schiaffi ci arrivano da ogni direzione.

mercoledì 17 luglio 2013

La squadra di El-Beblawi per un Egitto occidentale


Giurano solennemente fedeltà a una nazione da pacificare i 33 ministri del governo El-Beblawi, definito dalla Fratellanza Musulmana illegittimo e liberticida. Il premier invita gli islamici alla collaborazione, la Confraternita rifiuta sdegnosamente chiedendo: il ritorno nel ruolo usurpato del presidente eletto e la liberazione dei propri leader arrestati.  Ricordano la reiterata repressione a suon di massacri e contestano la pilatesca visita dell’uomo di Washington Burns. Anche Ahmed Maher, uno dei fondatori del “6 Aprile”, storce il naso di fronte all’operazione di “ricambio al vertice” e scrive su Twitter “Se sosteniamo che non s’è trattato d’un colpo di Stato cosa potrò dire quando schiacceranno anche noi?”

Ecco i principali nominativi. Al dicastero della Difesa compare ovviamente il generale Abdel Fattah Al-Sisi mentre agli Interni resta Mohamed Ibrahim che era stato nominato da Mursi nel governo Qandil, come pure Osama Saleh agli Investimenti, incarico ricoperto da quest’ultimo sino alle dimissioni del maggio scorso. Sui due nomi si gioca un balletto di appartenenze: secondo l’ex opposizione, diventa maggioranza dopo il golpe bianco, la coppia di ministri è un esempio di collaborazione in atto tanto richiesta da Al Mansour. Secondo la Fratellanza, che non ha accettato di entrare in un Esecutivo “imposto con la forza”, Ibrahim, Saleh e altri erano la prova che il governo Qandil non era affatto di parte. Ministro degli Esteri è Nabil Fahmy già ambasciatore negli Stati Uniti dal 1999 al 2008 e precedentemente in Giappone, formatosi nell’università americana del Cairo sostituisce il politico della Fratellanza Mohamed Amr. Ministro del Lavoro è il sessantenne Kamal Abu-Eita un navigato sindacalista fra i primi a organizzare strutture per i lavoratori nella storia egiziana. Ha guidato i duri scioperi che nel 2007 hanno bloccato il Paese. E’ stato presidente dell’Egyptian Federation of Independent Trade Unions e fra i fondatori del partito panarabo Karama. Nel 2011 durante il governo di reggenza dopo la caduta di Mubarak gli fu offerto questo dicastero ma lo rifiutò. Nelle elezioni politiche dello stesso anno venne eletto in Parlamento in una lista autonoma che s’appoggiava al Partito della Libertà e Giustizia. 

Alle Finanze Ahmed Galal considerato un tecnico di valore che antepone alle adesioni partitiche gli interessi della nazione, con questo spirito aveva partecipato anche a iniziative del precedente Esecutivo. Il ministero dell’Educazione va a Hossam Eissa, professore e analista politico, cofondatore del Partito Costituzionale con ElBaradei e dal giovanile passato nasseriano. Si è formato alla Sorbona, ha insegnato in Algeria, Giappone ed Egitto, ha lavorato per l’Unesco. Fra le tre donne incaricate Dorreya Sharaf El-Din all’Informazione rompe un tabù: mai l’Egitto aveva assegnato a una figura femminile il delicato ruolo che è stato criticato durante i mesi seguenti alla Rivoluzione del 25 gennaio per aver posto sotto controllo i media, soprattutto la tivù di Stato. El-Din è esperta del settore avendo ricoperto la carica di sottosegretario del ministero e si è occupata di canali satellitari. Appariva spesso come ospite di trasmissioni nelle tivù statali (Ahl El-Raey) e private (Dream Channel). Lei è oggettivamente una mubarakiana, avendo ricoperto incarichi nella commissione femminile del Partito Nazionale Democratico disciolto dopo la caduta del raìs. Le altre ministre sono: Laila Iskandar all'Ambiente e Maha Zeneddin alla Sanità. La prima è un’imprenditrice nota per iniziative ambientali che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali. S’è formata in studi economici al Cairo e specializzata nelle università californiane. Nel suo curriculum non manca l’attenzione per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, problema che affligge la megalopoli cairota insieme all’inquinamento atmosferico. Un progetto riguarda proprio il riciclaggio degli scarti urbani.

All’Industria il copto Mounir Abdel-Nour, segretario del Fronte di Salvezza Nazionale e prima membro del Wafd Party, che aveva rifiutato lo stesso incarico offertogli da Mursi sebbene fosse stato ministro del Turismo sotto il deprecato gabinetto Sharaf. Mohamed Gomaa è il ministro dei Lasciti Religiosi. Docente e membro della Facoltà di Studi Islamici dell’università Al-Azhar, coi suoi 74 anni è uno degli esponenti più anziani del neonato governo. Ha svolto attività pubblicistica, nella materia che gli compete e non solo, è autore di molti libri. E’ membro del sindacato dei giornalisti da oltre quarant’anni. Ministro della Giustizia e della Riconciliazione Nazionale è il settantasettenne Mohamed Amin El-Mahdy giudice internazionale e avvocato di chiara fama. Esponente del Centro di Arbitrato Internazionale di Commercio e del Consiglio dei Diritti Umani. Ha partecipato al Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia e nel 2007 venne selezionato dal segretario dell’Onu Ban Ki-moon per partecipare al Tribunale che indagava sull’attentato al premier libanese Rafiq Hariri. Nel 2000 aveva diretto il Consiglio dell’Alta Corte Amministrativa d’Egitto e dopo la caduta di Mubarak aveva indagato sui casi più oscuri della repressione della Giunta Tantawi. Il governo ha anche una stella del calcio: Taher Abuzeid, detto il ‘Maradona del Nilo’ in qualità di bomber dell’Al-Ahly negli anni Ottanta. A lui il ministero dello Sport.



domenica 14 luglio 2013

La transizione congelata di un Egitto che non si dà futuro



Spionaggio, incitazione alla violenza, distruzione dell’economia sono le accuse molto politiche ma con ricadute penali che hanno rinfocolato alcune querele rivolte al presidente deposto Mursi da alcuni cittadini egiziani. Di lui si sa che è tuttora agli arresti in un luogo segreto che dovrebbe essere proprio il quartier generale della Guardia Repubblicana davanti al quale s’è verificato il massacro di militanti islamici l’8 luglio. Intanto il premier incaricato El-Beblawi sta ultimando la nuova formazione governativa con trenta membri, verrà presentata entro la prossima settimana. L’economista liberal esprime conferme per alcuni ministri dell’esautorato esecutivo Qandil e parla di necessaria riconciliazione fra le parti politiche. Buone intenzioni che cozzano col panorama degli ultimi mesi e giorni. La Fratellanza, mobilitata presso la Moschea Rabaa al-Adawiya nell’area di Nasr City e anche in altri luoghi del Cairo, fa sapere che non potranno verificarsi riaperture se Mursi non sarà riammesso nel ruolo strappatogli con la forza. Corano e simboli della nazione nelle mani i suoi attivisti o semplici elettori sono l’altra piazza d’Egitto di cui l’informazione occidentale poco si curano. I nostri media sono portati ad accreditare la tesi delle Forze Armate che giustificano il golpe bianco come ascolto e sostegno delle ciclopiche manifestazioni dell’opposizione.

Il Paese non è solo spaccato ma lacerato da violenze e imposizioni, e non si comprende come potrà affrontare ciò che le attuali figure guida (El-Beblawi e Al Mansour) propongono nei rispettivi ruoli. A cominciare dall’ennesimo Referendum costituzionale (uno favorevolissimo all’Islam politico si svolse nel marzo 2011) che dovrebbe ratificare gli emendamenti alla Costituzione che devono precedere qualsiasi elezione. Per giungere a questo il presidente ad interim propone di formare un Comitato di dieci esperti (costituzionali e giuridici) che prepara i testi da sottoporre a un Consiglio di 50 personalità e figure rappresentative. Il primo passaggio dà a un gruppo di magistrati formati nell’era Mubarak facoltà di ritoccare commi della Carta così il campo islamico già insinua dubbi di effettiva garanzia per eguaglianza e giustizia sociale. La seconda fase potrebbe ricevere il medesimo boicottaggio che i laici hanno praticato verso due Assemblee Costituenti, la prima sciolta dalla Suprema Corte, la seconda contestata dagli oppositori di Fratellanza e salafiti. Stavolta potrebbero essere gli islamici a bloccare l’istituto del confronto e dibattito. Per quanto i gruppi salafiti mostrino intenzioni partecipative probabilmente per sostenere norme più attinenti al princìpi della Shari’a.

Da notare che il consolidamento di queste mosse: revisione della Costituzione (se si riuscirà a fare), referendum e poi consultazioni presidenziali e politiche avverrebbe con una concentrazione di poteri legislativo ed esecutivo nelle mani della coppia Al-Mansour-El-Beblawi che ripercorrono la stessa via di quell’accentramento praticato da Mursi che gli era valsa l’accusa di comportamento dittatoriale. Per non parlare dell’impulso all’attuale svolta da parte di Al-Sisi e delle Forze Armate, versione aggiornata dello Scaf. Rispetto a quei tempi la lobby militare ha addirittura rafforzato la sua posizione perché non s’espone in prima persona come fece nei 16 mesi di gestione il feldmaresciallo Tantawi. Fra gli stessi sostenitori del ruolo di tutela nazionale dei militari si fa fatica a giustificare un’ingerenza nella vita politica del Paese tramite interventi autoritari mirati a reprimere, assassinare, incarcerare soggetti politici e quella cittadinanza, non certo marginale, che li appoggia. Tutto in un quadro d’impunità offerto dalla magistratura restìa a intervenire severamente nei confronti delle divise, come dimostrano molteplici occasioni: dai processi per l’eccidio allo stadio di Port Said alle repressioni seguite agli assedi alle caserme del dicembre 2012. L’Egitto dovrebbe ricominciare da una situazione simile all’uscita di scena di Tantawi o peggio di Mubarak. Con molte ferite in più e tante speranze in meno.

giovedì 11 luglio 2013

Egitto, incognite politiche e alimentari



Attacchi e ordini di cattura ma anche ipotesi di partecipare al governo tecnico di El-Beblawi. La Fratellanza Musulmana è al centro di un’offensiva che le rammenta gli anni bui delle persecuzioni con cui figure del calibro di Al-Shater, ora agli arresti, sono nate e cresciute politicamente. Per questo non s’intimorisce. Polizia e giudici – i nemici di sempre – praticano un’offensiva lunga: vogliono impedire agli uomini più in vista, come la guida suprema Mohammed Badie, qualsiasi arringa dai palchi e cercano di ridurli al silenzio. Oltre al suo c’è già da due giorni il mandato d’arresto per deputati e membri della Confraternita da El-Beltagy al vicepresidente El-Eria;  come c’è per i colleghi di allenza elettorale di Al Gamaa Al-Islamya, che col clima in atto chissà se davvero si terranno entro sei mesi. Eppure il premier incaricato non esclude la possibilità che qualora volessero alcuni uomini della Fratellanza potrebbero partecipare al governo in via formazione.

Dividere la leadership della maggiore forza islamica è una tatica che può celarsi dietro la richiesta di una ricomposizione partecipativa che l’economista neo incaricato lancia a tutti i partiti, nessuno escluso. Vista però l’offensiva citata, che vede circa 200 richieste giudiziarie e principalmente viste le decine di vittime del massacro del compound della Guardia Repubblicana e gli oltre quattrocento feriti (tutti attivisti della Brotherhood) in questa fase al suo interno i gruppi dirigenti superano ogni divisione e presentano un’unica linea prettamente difensiva. Al momento anche del presidente Mursi, criticato e criticabile nella sua pregressa rigidità dai fratelli di partito, ma ostaggio da liberare lunedì scorso con l’assalto all’edificio militare dove i manifestanti a lui fedeli lo credevano rinchiuso. Alcuni impugnavano armi e le usavano, questa è l’accusa delle Forze dell’Ordine “costrette” dallo stato delle cose al conseguente massacro.

Da parte islamica è stato smentito ogni attacco armato, ma sono affermazioni di parte,  per giunta ufficiose vista l’aria che tira sulla leadership del gruppo ed è una versione soggetta all’indagine della magistratura. Certo è che il “fai da te” dell’armamento pare stia decollando, non solo attraverso i soliti canali dove il contrabbando beduino da tempo traffica (Sinai e confini occidentali con la Libia, che nel dopo Gheddafi mostra smerci simili o superiori a quelli dell’era del colonnello), ma nella stessa capitale. Procurarsi armi in proprio e usarle serve a poco, come hanno dimostrato periodi storici di rivolte nello stesso occidente europeo strozzate dall’assenza di sbocchi  politici, e non sembra che l’organizzazione islamica si dia per ora l’obiettivi  paramilitari. Comunque  c’è chi giura che la Confraternita abbia una propria struttura di sicurezza, come dimostrano le body-gards che attorniavano Badie durante i comizi del dopo golpe.

Lo scontro resta politico con l’inquietante supervisione della lobby militare che incamera la consegna di nuovi F-16, simili a quelli che hanno sorvolato in funzione deterrente i cieli del Cairo nei giorni delle mega manifestazioni dell’opposizione. Il Pentagono, che presiede l’iniziativa come la stessa elargizione di fondi in funzione pro esercito, ha deciso di non astenersi visto il ritorno dissuasivo della fornitura  contro ogni colpo di testa resistenziale ai suoi diktat. Ed è cominciato il peloso balletto delle promesse di elargizioni alla nazione malata da parte delle ciniche petromorchie, con la fitta schiera anti Fratellanza composta dalla dinastia saudita che darebbe al nuovo governo 5 miliardi di dollari continuando a foraggiare i salafiti di Al Nour, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sottoscrittori di 4 e 3 miliardi di dollari verso una leadership futura ispirata dall’opposizione a Mursi. Incertezze sul prolifico Qatar, che aveva anticipato al presidente deposto una parte (s’è detto un miliardo di dollari) degli 8 previsti. Bisognerà vedere cosa farà domani, per quanto gli Al-Thani vantino spregiudicatezza nelle alleanze per sostenere il desiderio di restare al centro della geopolitica mediorientale grazie alle proprie finanze.

Quel che sicuramente manca in Egitto è un quantitativo di farina necessario ai bisogni della popolazione, grande consumatrice di questo prodotto. La nazione è un’enorme importatrice di frumento, fino a non molto tempo addietro ne incamerava anche 10 milioni di tonnellate annue che venivano stipate in silos e miscelate col grano prodotto in loco. Negli ultimi due anni di turbolenze le importazioni sono molto diminuite  anche per mancanza di fondi. A fine giugno alcuni funzionari dell’apposito ministero dichiaravano di avere 3.7 milioni di tonnellate di cereali, non rivelando se tutti d’importazione o di raccolto locale. Il rischio di nuove carenze alimentari primarie, come quelle viste nel passato autunno, può ripetersi. Seppure ora che s’avvìa il Ramadan i falchi dei prestiti siano disponibili a una zakat non proprio caritatevole.

mercoledì 10 luglio 2013

Egitto, il grande malato

Golpe negato ma effettuato e stragi s’inseguono nell’Egitto della Primavera incompiuta dove in tanti parlano di Rivoluzione ma quel che soffoca il popolo, accanto all’emergenza economica, è l’emergenza democratica. Schiacciata da una lotta per il potere che usa le masse ma si dimentica di loro e le illude. Ed è una grande fetta del popolo stesso a illudersi che il dramma vissuto non possa peggiorare. Ragioniamo su alcuni nodi caldi che segnano l’attuale agenda egiziana.

Hazem El Beblawi – Il neonominato premier. Dicono di lui che sia un liberale-liberista che ha confidenza coi militari del cui Scaf, mascherato dal governo Charaf, è stato ministro delle Finanze nel 2011. E’ un uomo delle istituzioni economiche private (per chi mastica il disgustoso chewing-gum della politica italiana una sorta di piccolo Monti). Il biglietto da visita fa comprendere in quali mani le forze “rivoluzionarie” egiziane e i manovratori internazionali vogliono mettere la transizione in una fase che sfiora la guerra civile. Oltre al sostegno del generale Al Sisi e dei leader del Fronte Nazionale di Salvezza ha ricevuto il benestare dei salafiti del partito Al Nour che avevano posto due veti: verso ElBaradei, l’uomo di Washington e verso il socialista Eddine.

Elezioni - Parlare di elezioni politiche fra sei mesi, come fa il giudice Adly Mansour ora Capo di Stato ad interim, è più un tentativo per cercare di normalizzare a parole una situazione che dopo il colpo di stato e la strage degli islamici di lunedì scorso non ha più nulla di normale. Le elezioni erano previste a primavera, poi sono scivolate in avanti per gli ostacoli opposti dai raggruppamenti dell’opposizione laica che meditavano e organizzavano la contestazione dei Tamarod capace di bloccare il Paese e disarcionare Mursi. Capire se con la spaccatura in atto si riuscirà a organizzare pacifiche consultazioni è un’incognita assoluta. Per i maggiori partiti del Fronte di Salvezza Nazionale, che fino ai mesi scorsi temevano l’urna, potrebbe rappresentare un’occasione di riscatto perché il feeling popolare della Fratellanza è molto in ribasso. Ora il massacro subìto dai suoi militanti potrebbe riequilibrare la situazione che a detta di taluni statistici, per quanto possano valere in questi giorni le proiezioni, avvantaggerebbe maggiormente i salafiti, sia i tatticistici di Al Nour sia le neoformazioni di Ismail e Al Ghaffar. Eppure la componente che potrebbe ottenere un exploit sotto i colpi di slogan come: patria, laicità, ordine è un’entità come quella che sostenne Shafiq alle presidenziali d’un anno fa. Una vera calamita di voti di arabi mubarakiani e occidentalisti anti islamici. Ma una nazione così divisa riuscirà ad accettare il confronto nei seggi?

Referendum costituzionale - Ben più ardua la premessa alle elezioni stesse rappresentata da un referendum sugli emendamenti da apportare a quella Costituzione che tanta divisione ha creato fra gli egiziani. Gli oppositori politici di Mursi, il trio ElBaradei-Moussa-Sabbahi sono stati per l’intero 2012 rigidi avversatori dell’Assemblea Costituente accusata d’impronta islamista, dalla quale hanno fatto uscire propri esponenti e impedito una trattativa e una stesura condivisa della Carta. Il boicottaggio vendicativo della Confraternita e ancor più dei salafiti verso un ritocco della Costituzione è cosa certa.

Collaborazione di governo – Per lo stesso motivo non vediamo come El-Beblawi, col suo passato, possa pensare di tendere la mano ai politici della Fratellanza sperando che qualcuno di loro accetti di far parte d’un nuovo Esecutivo, visto il doppio scippo di premierato e presidenza che hanno dovuto ingoiare. Una delle voci ufficiali della Brotherhood, Essam El-Erian, ha diffuso sul sito web che quanto Al Mansour sta proponendo è un ritorno a quel passato che la Rivoluzione del 25 gennaio 2011 aveva spazzato via. Con questi presupposti il proprio movimento non accetterà alcuna transizione.
Fratellanza – Visti i colpi subìti e il sangue versato - le vittime del massacro della caserma della Guardia Repubblicana sarebbero per la Confraternita 77 non 51 come dice la tivù di Stato - i Fratelli Musulmani che non proponessero una controffensiva politica potrebbero perdere credito e adepti. Da qui la spinta al compattamento tramite l’iniziativa del “milione di martiri”. Le mobilitazioni però non bastano, servono strategie di media e lunga portata. In tal senso la dirigenza ha sempre mostrato ponderatezza ed equilibrio, difficilmente si lascerebbe coinvolgere in ipotesi combattentiste votandosi alla lotta armata. I tempi di Sayyid Qutb sono morti con lui. La Fratellanza potrebbe magari perdere attivisti giovani attratti, nelle aree dove questa esiste (Sinai e governatorati del Sud) dalla galassia jihadista. La tendenza maturata negli ultimi decenni è quella della presenza politica per un lavoro sociale e di massa che dopo repressione, clandestinità e ogni escamotage, anche la militanza presso altre formazioni quand’erano posti fuorilegge, aveva concesso ai Fratelli consenso e potere.

Forze Armate e repressione – I militari figli del popolo votati al bene del popolo e  garanti della nazione, che già s’erano infangati con la repressione della rivolta anti Mubarak e nei sedici mesi della Giunta Tantawi, si sono macchiati l’8 luglio d’una strage che gli islamici difficilmente dimenticheranno. La strada algerina appare lontana solo se non si creerà un fronte combattente contrapposto all’esercito, come in quel caso fu il Gruppo Islamico Armato che nelle sue componenti oltransiste e salafite (secondo alcuni poi vicine ad Al-Qaeda) proseguì azioni e attacchi ben oltre la “pacificazione” del 1999 lanciata dal presidente Boutefilka. Ma al di là di paralleli per ora, fortunatamente, impensabili sottolineamo un elemento che dovrebbe far riflettere anche i più critici verso l’Islam politico targato Fratellanza Musulmana. Esso rappresenta da tempo una realtà nel mondo arabo e turco. E’ osteggiato dai partiti che in quelle nazioni s’ispirano a ideali laici, viene lusingato e al tempo stesso ostacolato dalle potenze internazionali, in primis Stati Uniti e blocco occidentale con l’aggiunta di Israele, nelle sue versioni conservatrice e antimperialista. Il primo esempio è l’Adalet ve Kalkınma Partisi dal 2002 al potere in Turchia che sotto le precedenti sigle del Fazilet Partisi e Refah Partisi era stato sciolto nel 1999 e 1998. L’altro caso è Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, più noto come Hamas, vincitore delle consultazione nel 2005 e 2006 e fatto oggetto assieme agli abitanti della Striscia di Gaza di embargo e guerre mirate.