L’Egitto
che avanza e torna sui suoi passi, cerca maggiore democrazia e la perde. Non si
libera del vizio atavico della tutela dell’uomo forte spalleggiato dalle
divise. Tutto sotto lo sguardo di un Occidente, amico totalmente interessato.
Abbiamo ascoltato sul tema i pareri di due giovani intellettuali, un docente
universitario e un regista che vivono fra l’Italia e le sponde del Nilo.
Nel
lavoro creativo e documentario Mohammad Kenawi è abituato a osservare,
ascoltare, riflettere. Gli serve per scoprire e illuminare le persone di cui
narra storie dal respiro spesso collettivo. Si era già soffermato sui
comportamenti del popolo rumeno verso il leader Ceausescu. Un rapporto d’amore-odio
concluso con una tragedia meno spontanea e ribelle di quanto all’epoca
apparisse. Nonostante il sentimento che lo lega alla Patria e all’innegabile
passione per le cose d’Egitto del suo Paese non dice un gran bene. “I due anni
e mezzo di speranze e paure evidenziano anche atteggiamenti di enorme
immaturità. Ultrasessantenni si
comportano come bambini dispettosi e sto parlando di leader politici,
economisti, uomini pubblici cui sono affidate le sorti della nazione, non certo
di poveri derelitti di strada”.
Un’opinione severissima, non crede?
Lo
è a ragione. Perché questo ceto politico risponde all’ego, alla vanità, al
settarismo di parte mentre proclama di fare il bene della nazione. Così
rischiamo tutti di cadere nel baratro. Se non è infantilismo si tratta di
patologia, dunque d’un problema anche più grave.
C’è una cura?
Ci
sarebbe: evitare l’estremismo che la vita egiziana va assumendo. La politica è
la punta dell’iceberg ma tutto sta virando verso una polarizzazione. Aut aut.
Quando l’interlocutore inizia un qualsiasi discorso puoi notare una luce nei
suoi occhi, dopo non molto ti domanda se sei d’accordo con lui. Se lo sei ti
sorride, in caso contrario ti cataloga. Non immediatamente come nemico, ma meno
affidabile sì. Da quell’istante su qualsiasi argomento ti chiederà: tu con chi
stai? Hai voglia a rispondere: sto col mio credo, la mia coscienza che non sono
né un partito né una sigla. Servirà a poco. Il dualismo del di qua o di là è
una cosa orribile che divide amici e familiari. Nelle stesse compagnìe si
creano contrapposizioni spesso insormontabili. Se vieni bollato quale
avversario è finita. Sei escluso, cancellato da qualsiasi relazione. Pochi si
pongono il beneficio del dubbio che consente di analizzare la fase che
attraversiamo.
E come vede gli attuali egiziani?
Esistono
varie categorie. Una parte della popolazione è composta da chi vuole imitare
l’Occidente. Sono i ragazzi che sognano di emigrare nel Mediterraneo del nord e
quando giungono a destinazione si fanno chiamare Johnny anziché Gamal non solo
per venire accettati più facilmente ma perché per loro l’esotismo anglofono
rappresenta un modello positivo e quello arabo quasi una vergogna. E’ un atteggiamento
che si ritrova anche nella classe media o nei ceti elevati. Costoro vogliono
vivere all’occidentale e non ammettono altri mondi. Alcuni non conoscono
neppure i problemi in cui si dibatte la società agognata. Una seconda categoria
è costituita dai pigri che tirano a campare evitando un impegno vero. La nostra
reputazione all’estero non è delle migliori anche per questo genere di
comportamenti… Si dice che il Paese necessiti d’un dittatore, se non si usa una
forma severa per condurre le cose tutto va a rotoli. Per molti servirebbe
l’uomo forte “giusto” che all’orizzonte non si vede proprio. L’amministrazione
Mursi voleva mutare l’approccio col lavoro incrementando la coscienza personale,
però è naufragata.
Per questo motivo i generali hanno
chances…
Con
la Rivoluzione del 25 gennaio la piazza ha rimosso la faccia del regime, il
corpo è rimasto lì. Quel corpo è costituito da militari, magistrati, media.
Poteri immensi. Gran parte di queste lobbies sono legate al regime di Mubarak,
la Rivoluzione non le ha scalfite, afferiscono tutte all’antico sistema e sono
ancora lì. Mursi voleva pianificare dei cambiamenti. Prendiamo l’esempio di
Suez. I dazi del Canale rappresentano la prima entrata nazionale, il governo
islamico pensava ad aumentare il gettito incrementando i flussi di passaggio,
ma i teorizzatori delle liberalizzazioni e chi non voleva impegnarsi erano già
pronti a ostacolare qualsiasi trasformazione. Con affermazioni del genere in
Egitto sarei definito un Fratello Musulmano. Non è così perché non lo sono,
sono un laico che non vuole avallare i piani di chi sta rovinando il Paese.
I giovani non s’accorgono di quanto il
regime passato sia tuttora attivo?
Quel
che continuiamo a vedere è frutto del trentennio di dittatura di Mubarak e di
chi l’ha preceduto, i modelli occidentali da imitare vengono da lì e la mano
americana è molto presente. Una grossa fetta degli oppositori a Mursi sono
giovani che chiedono un futuro migliore ma non lo riceveranno. I ruoli
distribuiti anche ufficialmente nel governo di El-Beblawi premiano uomini e
donne vicini agli apparati d’un tempo, altro che tecnici si tratta di elementi
al servizio dell’imperialismo internazionale!
L’offensiva anti Fratellanza può
produrre una sua perdita di consenso a vantaggio di salafismo e jihadismo?
Fra
gli stessi egiziani c’è confusione sui tanti volti dell’Islam e da noi le
componenti sono varie, vanno dal sufismo pacifista al salafismo politico, fino
a quello fondamentalista e jihadista. La Fratellanza sta nel mezzo, coniuga
tradizione religiosa e sociale con realismo politico senza ricadute estreme. Io
non credo che risponderà violentemente, forse lo farà qualche altro gruppo. La
Brotherhood ha conosciuto ostracismi e persecuzioni, è abituata a stare “sotto
le scale”, a nascondersi mescolandosi in altri partiti. Attualmente c’è tanta
parte del popolo contro i Fratelli (è di
ieri una statistica che vede il 70% degli egiziani non solidali con le proteste
a favore di Mursi, ndr). La loro
dirigenza medita sulla tattica da seguire. Ripercorre altre situazioni pur
nella diversità: l’organizzazione islamica turca che di scioglimento in
scioglimento negli anni Ottanta e Novanta è giunta al potere sull’onda dei
successi elettorali; il caso algerino finito nel vicolo cieco d’una ferocissima
guerra civile per bande; nel suo piccolo viene esaminato anche il governo di
Hamas. Un comune denominatore può far dire che gli avversari inducono gli
islamici a misurarsi sul terreno elettorale, ma se vincono e raggiungono il
potere vengono mal sopportati e osteggiati.
Come vede le prossime elezioni?
Probabilmente
l’Islam politico non prevarrà come nel 2012 ma anche gli altri gruppi non hanno
certezze assolute, la divisione è il loro punto debole. Ciò che deve preoccupare
maggiormente è la destrutturazione delle regole. La nostra classe politica si
comporta come i bambini nelle partite di calcio informali quando decidono chi
vince in base alle reti segnate. Prima dicono sei goal poi durante la gara li
raddoppiano: occorre arrivare a dodici! Quel che si era stabilito all’inizio
non vale più e questo è destabilizzante. Nella migliore delle ipotesi la vita
politica egiziana registra comportamenti infantili, nella peggiore rischia il
collasso del non ritorno alla democrazia.
E una collaborazione per la salvezza
della Patria?
E’
un’ipotesi richiamata da tutti ma non praticata a causa della polarizzazione.
La mancanza di collaborazione è davvero sconfortante. Riporto qualche esempio.
Ho sentito attivisti del Fronte di Salvezza Nazionale rallegrarsi delle
difficoltà di Mursi nella gestione della crisi dell’acqua del Nilo (per la
vicenda della mega diga etiopica, ndr) come se quello fosse un problema del
presidente e non della nazione. Di fatto è l’ennesima eredità di Mubarak che
incrudì le relazioni con alcuni Paesi africani per i tentativi di attentato nei
suoi confronti verificatisi durante alcune visite di Stato. Da amici ho avuto
notizie sul boicottaggio del carburante con accaparramenti solo per farlo
mancare e creare disagi. Dopo la rimozione di Mursi la distribuzione è tornata
normale. Quest’anno un ministro del governo Qandil aveva stipulato accordi per
evitare che il Paese esportasse grano, l’intera produzione era destinata al
fabbisogno nazionale che è elevatissimo anche per le nostre abitudini
alimentari. Beh, i contadini hanno lamentato un’infinità di incendi dolosi
nelle aree agricole del Delta del Nilo.
Per episodi simili non scatta un senso
di solidarietà collettiva?
Non
scatta. C’è una discrasia fra le manifestazioni di piazza e la quotidianità.
L’uomo della strada vuole mangiare, lavorare e non pensare ad altro. Molta
gente s’accorge dell’ostracismo rivolto all’Egitto prima che alla Fratellanza
ma prevale il tirare a campare insieme al desiderio di risolvere le questioni
presto più che bene. Perciò l’uomo forte può trovare spazio. Scusate ma sono
pessimista. E’ disposto a collaborare chi è onesto e civile, chi ha a cuore
interessi generali non il proprio tornaconto. Davanti al mondo ci stiamo
comportando come ragazzini capricciosi. Sotto gli occhi di tutti c’è l’immagine
del fallimento di una nazione.
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