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lunedì 22 luglio 2013

Abdel Kader “Dagli intellettuali uno stimolo per l’emancipazione del Paese, non alibi per uno Stato autoritario“


L’Egitto che avanza e torna sui suoi passi, cerca maggiore democrazia e la perde. Non si libera del vizio atavico della tutela dell’uomo forte spalleggiato dalle divise e sotto lo sguardo di un Occidente, amico totalmente interessato. Abbiamo ascoltato sul tema i pareri di due giovani intellettuali, un docente universitario e un regista che vivono fra l’Italia e le sponde del Nilo. Muhammad Abdel Kader è un professore di Italianistica che ha concluso la specializzazione presso l’Università di Tor Vergata in Roma. E’ recente vincitore di un concorso per la cattedra all’Università di Helwan a sud del Cairo. Originario del quartiere cairota di Maadi vive tuttora a Roma in attesa dell’avvìo dell’incarico.

Professore quello del 3 luglio è un colpo di Stato oppure no?
Lo è certamente. Purtroppo i generali non hanno rispettato la nuova creatura nata in Egitto con la “Rivoluzione del 25 gennaio” che si chiama democrazia, anche perché non sono mai stati abituati a farlo. Così la situazione è tornata al 24 gennaio 2011 e l’apparato-regime di Mubarak, di cui le Forze Armate sono il pilastro, conserva un potere inalterato. Ora o i militari vincono e il Paese resta sotto il loro controllo per altri sessant’anni oppure la nazione si emancipa e costruisce un futuro fuori da quella “garanzia” che passivizza le masse. Personalmente non ho partecipato alle consultazioni elettorali del 2012, non sono stato elettore di nessuno schieramento e nell’esprimere valutazioni mi ritengo libero da partigianerie. Resto però sorpreso dalla copertura offerta da taluni intellettuali progressisti a un’azione autoritaria e illegittima. Costoro a posteriori insinuano dubbi sulla trasparenza di quelle consultazioni. Nessuno ha mai avuto a ridire suoi 13 milioni di voti presi da Shafiq che alla fine è stato battuto da un candidato con maggiori consensi. Perché l’elezione di Mursi non sarebbe valida?

Democrazia, qual è il rapporto che la nazione ha con questa che lei definisce la nuova creatura nella vita egiziana?
E’ un rapporto legato ai militari, purtroppo. Non si tratta del primo golpe, più o meno mascherato. Nella storia del Paese – da re Farouk a Naguib – i colpi di mano rientrano nelle ipotesi praticate per raggiungere il potere. Posso capire che ci sia una consistente fetta della popolazione attratta dall’uomo forte perché siamo di fronte a un popolo che conta un 40% di analfabeti e un 50% di poveri. Elementi oggettivamente deboli, manipolabili, ricattabili da ogni parte politica. Per questo uomini forti affascinano molta gente. Però mi stupisce che intellettuali come Al-Aswani, e anche scrittori capaci si lancino in operazioni di copertura della repressione. E’ vero che costoro detestano l’Islam politico, ma da qui ad appoggiare i militari ce ne passa. Sull’altro fronte la Fratellanza e recentemente il salafismo mostrano leader dal linguaggio inadatto e aggressivo. Se però si parla d’intolleranza e violenza, beh la Confraternita non avalla nessun estremismo, alcuni suoi attivisti possono essere violenti  come lo sono i giovani di Tahrir o certi Tamarod. In un cartoon tedesco ho visto una semplificazione della nostra situazione politica. Il regista mostrava da una parte liberali e intellettuali di sinistra che lodano l’intervento dell’esercito, dall’altra  varie componenti dell’Islam politico, dai moderati della Fratellanza ai miliziani jihadisti che hanno abbandonato le armi, accettato la democrazia, partecipato e vinto alcune elezioni (Gamaa Al-Islamya, ad esempio, ndr). Gli intellettuali erano tutti nella prima frazione. E’ una ricostruzione schematica ma vera perché la storia della nazione vede l’intellighenzia legata unicamente alle esperienze post-coloniali che hanno avvicinato le speranze nazional-socialiste a un orgoglio smarrito.

Dirigenza islamica e dirigenza laica, un dialogo impossibile?
Sembra di sì. La situazione è incrudita e si ragiona in termini di esclusione più che di compartecipazione. Mursi ha guidato la nazione per un anno mostrando parecchie lacune, non è stato un abile presidente. In campagna elettorale ha promesso troppo e immediatamente gli è stato chiesto il conto. Ha comunque subìto una pesante azione diffamatoria da parte di media controllati da affaristi collusi col vecchio regime. Certi network privati l’hanno attaccato dal giorno successivo all’elezione, un tam-tam incessante contro cui la Fratellanza s’è trovata sguarnita avendo pochi strumenti mediatici a disposizione. La promessa di far luce sui casi di corruzione e malaffare fra economia e politica non ha giovato alla sua tranquillità. L’ex partito di Mubarak (Partito Nazionale Democratico, ndr) sciolto già nel marzo 2011 ha ritrovato divieto di riorganizzazione nella Costituzione del novembre 2012, un veto voluto dalla Fratellanza Musulmana. Questo spiega una parte dell’odio gettato dai nostalgici sulla Carta Costituzionale accusata d’islamismo spinto. Si tratta di un’area ben più ampia dei tre milioni di aderenti a quella formazione, un gran pezzo della società egiziana trasversale composta da capitalisti e affaristi connessi a economia e finanza che ruotano attorno a enti e organismi dello Stato  per il  quale s’è coniato la definizione di “Stato profondo”. Mi riferisco ai manager – i tecnici – gestori di strutture che si occupano di servizi e forniture (acqua, petrolio, carbone). Una lobby passata dall’epoca di Mubarak alla stessa amministrazione della Fratellanza che non l’ha intaccata né sostituita con propri uomini perché questi ultimi sono privi di esperienza e competenze di settore. Durante i dodici mesi di presidenza Mursi in più occasioni taluni di questi servizi si sono bloccati, creando gravi carenze e timori fra la gente. Analisti attenti hanno evidenziato che si trattava d’iniziative volute. Non sono complottista ma non si può negare la strumentalità di simili manovre cessate dopo il ricambio politico. E c’è da aggiungere l’impatto degli apparati repressivi - la polizia innanzitutto - un organismo che ha sempre schiacciato la militanza islamica con arresti e torture e continua a non fare sconti.

Eppure gli oppositori della Fratellanza l’accusano di aver occupato ogni posto di potere, come mai i propri uomini mancavano in settori economici strategici?
La Fratellanza mancava e manca delle risorse umane per gestire tali settori. Superati i momenti più duri delle persecuzioni passate gli islamici hanno potuto anche formare una propria classe dirigente all’estero, un esempio è la generazione dei Mursi, ma alle eventuali competenze teoriche non hanno aggiunto le conoscenze dei gangli del sistema interno. Per fare ciò serve tempo, occorre stare in quelle strutture, verificarne funzionamenti e disservizi, per gestirli e magari migliorarne i meccanismi. Bisogna interfacciarsi con personaggi inseriti in contesti nazionali ed esteri. E questi in genere sono feloul e filo occidentali che non ammettono ingerenze.

Un’altra debolezza dell’Islam politico egiziano sta proprio nel rapporto col mondo culturale e gli intellettuali, i Fratelli Musulmani si pongono il tema dell’egemonia?
Iniziano a porselo e certamente lo scippo di governo li farà riflettere. Nel rapporto con l’opinione pubblica più acculturata, coi ceti medi, coi giovani l’Islam politico paga carenze del suo apparato intellettuale. La Fratellanza, e gli stessi salafiti, hanno una leadership ideologica  magari vantano qualche teologo, sebbene l’importante centro di Al-Azhar si tenga lontano da connessioni partitiche. Non mostrano, però, teorici che usano strumenti tradizionali come la letteratura o la diffusione tramite  nuovi media. Curano l’informazione, ma in posizione minoritaria visto che nel Paese prevalgono i network impregnati di cultura occidentale, il divario coi modelli tradizionali è ancora enorme. Comunque traspare qualche segnale, dal superamento della chiusura settaria che un tempo faceva disconoscere a un leader della Confraternita il valore di Mahfouz (successivamente quel politico fece marcia indietro parlando a favore del nostro premio Nobel) all’elaborazione critica operata da giovani acculturati. Ho assistito a un dibattito televisivo in cui dei ragazzi egiziani dialogavano e controbattevano senza remore e con capacità analitiche e dialettiche a un noto intellettuale progressista filo americano, opponendogli il desiderio d’una ricerca che superasse stereotipi datati e stantii. La strada d’un nuovo Egitto passa anche per una nuova interpretazione del ruolo della cultura. E nella conseguente lotta per l’egemonia non è scontato che il panorama resti bloccato. Islam politico e orgoglio identitario laico non succube di un Occidente dal “pensiero unico” possono entrare in gioco, nella cultura oltre che in politica.

Una delle maggiori paure diffuse dagli oppositori a Mursi riguarda la Shari’a introdotta dalla Costituzione che ora si vuole emendare
Ho letto la Costituzione introdotta nello scorso novembre e non vedo dove s’annidi la Shari’a. Gran parte della Carta ripercorre i passi di quella del 1971, i timori sono una cosa, le fobìe un’altra. Dietro un’esasperazione di questo tema si può celare il tentativo di umiliare la tradizione islamica del Paese che nessun presidente, anche il più laico come Nasser, aveva intaccato. E c’è un ulteriore fattore da considerare. Il rovesciamento delle conquiste partecipative qual è l’espressione democratica del voto,  raggirato e umiliato dal colpo di mano militare, può produrre scompensi nella popolazione specie più giovane. Chi attacca frontalmente la Fratellanza non considera la moderazione di questa forza, il suo accettare confronto e democrazia borghese. Indurre tanti giovani a una perdita di fiducia nelle istituzioni e negli strumenti pacifici può spostare la massa verso quel fanatismo predicato da un altro Islam: il jiahadismo qaedista. Esso sì rappresenta – a mio avviso – un pericolo visto ciò che accade nei Paesi limitrofi. Puntare a destabilizzare la più grande nazione araba fomentando contrasti da guerra civile è quanto di più sciagurato la politica possa fare.

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