L’Egitto
che avanza e torna sui suoi passi, cerca maggiore democrazia e la perde. Non si
libera del vizio atavico della tutela dell’uomo forte spalleggiato dalle divise
e sotto lo sguardo di un Occidente, amico totalmente interessato. Abbiamo
ascoltato sul tema i pareri di due giovani intellettuali, un docente
universitario e un regista che vivono fra l’Italia e le sponde del Nilo. Muhammad
Abdel Kader è un professore di Italianistica che ha concluso la
specializzazione presso l’Università di Tor Vergata in Roma. E’ recente
vincitore di un concorso per la cattedra all’Università di Helwan a sud del
Cairo. Originario del quartiere cairota di Maadi vive tuttora a Roma in attesa
dell’avvìo dell’incarico.
Professore quello del 3 luglio è un
colpo di Stato oppure no?
Lo
è certamente. Purtroppo i generali non hanno rispettato la nuova creatura nata
in Egitto con la “Rivoluzione del 25 gennaio” che si chiama democrazia, anche
perché non sono mai stati abituati a farlo. Così la situazione è tornata al 24
gennaio 2011 e l’apparato-regime di Mubarak, di cui le Forze Armate sono il
pilastro, conserva un potere inalterato. Ora o i militari vincono e il Paese
resta sotto il loro controllo per altri sessant’anni oppure la nazione si
emancipa e costruisce un futuro fuori da quella “garanzia” che passivizza le
masse. Personalmente non ho partecipato alle consultazioni elettorali del 2012,
non sono stato elettore di nessuno schieramento e nell’esprimere valutazioni mi
ritengo libero da partigianerie. Resto però sorpreso dalla copertura offerta da
taluni intellettuali progressisti a un’azione autoritaria e illegittima.
Costoro a posteriori insinuano dubbi sulla trasparenza di quelle consultazioni.
Nessuno ha mai avuto a ridire suoi 13 milioni di voti presi da Shafiq che alla
fine è stato battuto da un candidato con maggiori consensi. Perché l’elezione
di Mursi non sarebbe valida?
Democrazia, qual è il rapporto che la
nazione ha con questa che lei definisce la nuova creatura nella vita egiziana?
E’
un rapporto legato ai militari, purtroppo. Non si tratta del primo golpe, più o
meno mascherato. Nella storia del Paese – da re Farouk a Naguib – i colpi di
mano rientrano nelle ipotesi praticate per raggiungere il potere. Posso capire
che ci sia una consistente fetta della popolazione attratta dall’uomo forte
perché siamo di fronte a un popolo che conta un 40% di analfabeti e un 50% di
poveri. Elementi oggettivamente deboli, manipolabili, ricattabili da ogni parte
politica. Per questo uomini forti affascinano molta gente. Però mi stupisce che
intellettuali come Al-Aswani, e anche scrittori capaci si lancino in operazioni
di copertura della repressione. E’ vero che costoro detestano l’Islam politico,
ma da qui ad appoggiare i militari ce ne passa. Sull’altro fronte la
Fratellanza e recentemente il salafismo mostrano leader dal linguaggio inadatto
e aggressivo. Se però si parla d’intolleranza e violenza, beh la Confraternita
non avalla nessun estremismo, alcuni suoi attivisti possono essere violenti come lo sono i giovani di Tahrir o certi
Tamarod. In un cartoon tedesco ho visto una semplificazione della nostra
situazione politica. Il regista mostrava da una parte liberali e intellettuali
di sinistra che lodano l’intervento dell’esercito, dall’altra varie componenti dell’Islam politico, dai
moderati della Fratellanza ai miliziani jihadisti che hanno abbandonato le
armi, accettato la democrazia, partecipato e vinto alcune elezioni (Gamaa
Al-Islamya, ad esempio, ndr). Gli intellettuali erano tutti nella prima
frazione. E’ una ricostruzione schematica ma vera perché la storia della
nazione vede l’intellighenzia legata unicamente alle esperienze post-coloniali
che hanno avvicinato le speranze nazional-socialiste a un orgoglio smarrito.
Dirigenza islamica e dirigenza laica, un
dialogo impossibile?
Sembra
di sì. La situazione è incrudita e si ragiona in termini di esclusione più che
di compartecipazione. Mursi ha guidato la nazione per un anno mostrando
parecchie lacune, non è stato un abile presidente. In campagna elettorale ha
promesso troppo e immediatamente gli è stato chiesto il conto. Ha comunque
subìto una pesante azione diffamatoria da parte di media controllati da affaristi
collusi col vecchio regime. Certi network privati l’hanno attaccato dal giorno
successivo all’elezione, un tam-tam incessante contro cui la Fratellanza s’è
trovata sguarnita avendo pochi strumenti mediatici a disposizione. La promessa
di far luce sui casi di corruzione e malaffare fra economia e politica non ha
giovato alla sua tranquillità. L’ex partito di Mubarak (Partito Nazionale
Democratico, ndr) sciolto già nel marzo 2011 ha ritrovato divieto di
riorganizzazione nella Costituzione del novembre 2012, un veto voluto dalla
Fratellanza Musulmana. Questo spiega una parte dell’odio gettato dai nostalgici
sulla Carta Costituzionale accusata d’islamismo spinto. Si tratta di un’area
ben più ampia dei tre milioni di aderenti a quella formazione, un gran pezzo della
società egiziana trasversale composta da capitalisti e affaristi connessi a
economia e finanza che ruotano attorno a enti e organismi dello Stato per il
quale s’è coniato la definizione di “Stato profondo”. Mi riferisco ai
manager – i tecnici – gestori di strutture che si occupano di servizi e
forniture (acqua, petrolio, carbone). Una lobby passata dall’epoca di Mubarak
alla stessa amministrazione della Fratellanza che non l’ha intaccata né
sostituita con propri uomini perché questi ultimi sono privi di esperienza e
competenze di settore. Durante i dodici mesi di presidenza Mursi in più
occasioni taluni di questi servizi si sono bloccati, creando gravi carenze e
timori fra la gente. Analisti attenti hanno evidenziato che si trattava d’iniziative
volute. Non sono complottista ma non si può negare la strumentalità di simili
manovre cessate dopo il ricambio politico. E c’è da aggiungere l’impatto degli
apparati repressivi - la polizia innanzitutto - un organismo che ha sempre
schiacciato la militanza islamica con arresti e torture e continua a non fare
sconti.
Eppure gli oppositori della Fratellanza
l’accusano di aver occupato ogni posto di potere, come mai i propri uomini
mancavano in settori economici strategici?
La
Fratellanza mancava e manca delle risorse umane per gestire tali settori.
Superati i momenti più duri delle persecuzioni passate gli islamici hanno
potuto anche formare una propria classe dirigente all’estero, un esempio è la
generazione dei Mursi, ma alle eventuali competenze teoriche non hanno aggiunto
le conoscenze dei gangli del sistema interno. Per fare ciò serve tempo, occorre
stare in quelle strutture, verificarne funzionamenti e disservizi, per gestirli
e magari migliorarne i meccanismi. Bisogna interfacciarsi con personaggi inseriti
in contesti nazionali ed esteri. E questi in genere sono feloul e filo occidentali che non ammettono ingerenze.
Un’altra debolezza dell’Islam politico
egiziano sta proprio nel rapporto col mondo culturale e gli intellettuali, i
Fratelli Musulmani si pongono il tema dell’egemonia?
Iniziano
a porselo e certamente lo scippo di governo li farà riflettere. Nel rapporto
con l’opinione pubblica più acculturata, coi ceti medi, coi giovani l’Islam
politico paga carenze del suo apparato intellettuale. La Fratellanza, e gli
stessi salafiti, hanno una leadership ideologica magari vantano qualche teologo, sebbene
l’importante centro di Al-Azhar si tenga lontano da connessioni partitiche. Non
mostrano, però, teorici che usano strumenti tradizionali come la letteratura o
la diffusione tramite nuovi media.
Curano l’informazione, ma in posizione minoritaria visto che nel Paese
prevalgono i network impregnati di cultura occidentale, il divario coi modelli
tradizionali è ancora enorme. Comunque traspare qualche segnale, dal
superamento della chiusura settaria che un tempo faceva disconoscere a un
leader della Confraternita il valore di Mahfouz (successivamente quel politico
fece marcia indietro parlando a favore del nostro premio Nobel)
all’elaborazione critica operata da giovani acculturati. Ho assistito a un
dibattito televisivo in cui dei ragazzi egiziani dialogavano e controbattevano
senza remore e con capacità analitiche e dialettiche a un noto intellettuale
progressista filo americano, opponendogli il desiderio d’una ricerca che
superasse stereotipi datati e stantii. La strada d’un nuovo Egitto passa anche
per una nuova interpretazione del ruolo della cultura. E nella conseguente
lotta per l’egemonia non è scontato che il panorama resti bloccato. Islam
politico e orgoglio identitario laico non succube di un Occidente dal “pensiero
unico” possono entrare in gioco, nella cultura oltre che in politica.
Una delle maggiori paure diffuse dagli
oppositori a Mursi riguarda la Shari’a
introdotta dalla Costituzione che ora si vuole emendare
Ho
letto la Costituzione introdotta nello scorso novembre e non vedo dove s’annidi
la Shari’a. Gran parte della Carta
ripercorre i passi di quella del 1971, i timori sono una cosa, le fobìe un’altra.
Dietro un’esasperazione di questo tema si può celare il tentativo di umiliare
la tradizione islamica del Paese che nessun presidente, anche il più laico come
Nasser, aveva intaccato. E c’è un ulteriore fattore da considerare. Il
rovesciamento delle conquiste partecipative qual è l’espressione democratica
del voto, raggirato e umiliato dal colpo
di mano militare, può produrre scompensi nella popolazione specie più giovane.
Chi attacca frontalmente la Fratellanza non considera la moderazione di questa
forza, il suo accettare confronto e democrazia borghese. Indurre tanti giovani
a una perdita di fiducia nelle istituzioni e negli strumenti pacifici può
spostare la massa verso quel fanatismo predicato da un altro Islam: il
jiahadismo qaedista. Esso sì rappresenta – a mio avviso – un pericolo visto ciò
che accade nei Paesi limitrofi. Puntare a destabilizzare la più grande nazione
araba fomentando contrasti da guerra civile è quanto di più sciagurato la
politica possa fare.
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