Attacchi
e ordini di cattura ma anche ipotesi di partecipare al governo tecnico di
El-Beblawi. La Fratellanza Musulmana è al centro di un’offensiva che le
rammenta gli anni bui delle persecuzioni con cui figure del calibro di
Al-Shater, ora agli arresti, sono nate e cresciute politicamente. Per questo
non s’intimorisce. Polizia e giudici – i nemici di sempre – praticano
un’offensiva lunga: vogliono impedire agli uomini più in vista, come la guida suprema
Mohammed Badie, qualsiasi arringa dai palchi e cercano di ridurli al silenzio.
Oltre al suo c’è già da due giorni il mandato d’arresto per deputati e membri
della Confraternita da El-Beltagy al vicepresidente El-Eria; come c’è per i colleghi di allenza elettorale
di Al Gamaa Al-Islamya, che col clima in atto chissà se davvero si terranno
entro sei mesi. Eppure il premier incaricato non esclude la possibilità che
qualora volessero alcuni uomini della Fratellanza potrebbero partecipare al
governo in via formazione.
Dividere la leadership della maggiore forza islamica è una tatica che può celarsi dietro la richiesta di una ricomposizione partecipativa che l’economista neo incaricato lancia a tutti i partiti, nessuno escluso. Vista però l’offensiva citata, che vede circa 200 richieste giudiziarie e principalmente viste le decine di vittime del massacro del compound della Guardia Repubblicana e gli oltre quattrocento feriti (tutti attivisti della Brotherhood) in questa fase al suo interno i gruppi dirigenti superano ogni divisione e presentano un’unica linea prettamente difensiva. Al momento anche del presidente Mursi, criticato e criticabile nella sua pregressa rigidità dai fratelli di partito, ma ostaggio da liberare lunedì scorso con l’assalto all’edificio militare dove i manifestanti a lui fedeli lo credevano rinchiuso. Alcuni impugnavano armi e le usavano, questa è l’accusa delle Forze dell’Ordine “costrette” dallo stato delle cose al conseguente massacro.
Da parte islamica è stato smentito ogni attacco armato, ma sono affermazioni di parte, per giunta ufficiose vista l’aria che tira sulla leadership del gruppo ed è una versione soggetta all’indagine della magistratura. Certo è che il “fai da te” dell’armamento pare stia decollando, non solo attraverso i soliti canali dove il contrabbando beduino da tempo traffica (Sinai e confini occidentali con la Libia, che nel dopo Gheddafi mostra smerci simili o superiori a quelli dell’era del colonnello), ma nella stessa capitale. Procurarsi armi in proprio e usarle serve a poco, come hanno dimostrato periodi storici di rivolte nello stesso occidente europeo strozzate dall’assenza di sbocchi politici, e non sembra che l’organizzazione islamica si dia per ora l’obiettivi paramilitari. Comunque c’è chi giura che la Confraternita abbia una propria struttura di sicurezza, come dimostrano le body-gards che attorniavano Badie durante i comizi del dopo golpe.
Lo scontro resta politico con l’inquietante supervisione della lobby militare che incamera la consegna di nuovi F-16, simili a quelli che hanno sorvolato in funzione deterrente i cieli del Cairo nei giorni delle mega manifestazioni dell’opposizione. Il Pentagono, che presiede l’iniziativa come la stessa elargizione di fondi in funzione pro esercito, ha deciso di non astenersi visto il ritorno dissuasivo della fornitura contro ogni colpo di testa resistenziale ai suoi diktat. Ed è cominciato il peloso balletto delle promesse di elargizioni alla nazione malata da parte delle ciniche petromorchie, con la fitta schiera anti Fratellanza composta dalla dinastia saudita che darebbe al nuovo governo 5 miliardi di dollari continuando a foraggiare i salafiti di Al Nour, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sottoscrittori di 4 e 3 miliardi di dollari verso una leadership futura ispirata dall’opposizione a Mursi. Incertezze sul prolifico Qatar, che aveva anticipato al presidente deposto una parte (s’è detto un miliardo di dollari) degli 8 previsti. Bisognerà vedere cosa farà domani, per quanto gli Al-Thani vantino spregiudicatezza nelle alleanze per sostenere il desiderio di restare al centro della geopolitica mediorientale grazie alle proprie finanze.
Quel che sicuramente manca in Egitto è un quantitativo di farina necessario ai bisogni della popolazione, grande consumatrice di questo prodotto. La nazione è un’enorme importatrice di frumento, fino a non molto tempo addietro ne incamerava anche 10 milioni di tonnellate annue che venivano stipate in silos e miscelate col grano prodotto in loco. Negli ultimi due anni di turbolenze le importazioni sono molto diminuite anche per mancanza di fondi. A fine giugno alcuni funzionari dell’apposito ministero dichiaravano di avere 3.7 milioni di tonnellate di cereali, non rivelando se tutti d’importazione o di raccolto locale. Il rischio di nuove carenze alimentari primarie, come quelle viste nel passato autunno, può ripetersi. Seppure ora che s’avvìa il Ramadan i falchi dei prestiti siano disponibili a una zakat non proprio caritatevole.
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